"chi fa da sé fa per 3"

Questo blog è nato come un blog di controinformazione dopo il sisma del 6 aprile 2009. Ora che i riflettori su L'Aquila si sono spenti e l'unico terremoto che investe la città è quello della crisi generata da questo sistema capitalistico che deve essere rovesciato, esso rimane in vita per dare voce ai senza voce, a coloro che, pur vivendo e lottando in questa città, non trovano spazio nei media, anche se si definiscono "liberi e indipendenti"

lunedì 26 aprile 2010

Dopo il super commissario del Salaria Sport Village il super poliziotto di Viareggio

L'Articolo su Left, querelato dal Prefetto dell'Aquila


Un prefetto successore

Le inchieste su Br e terrorismo. Il comando dei servizi segreti. Poi il governo lo manda a l’Aquila. Dove dovrebbe controllare gli appalti. Ma si scaglia contro le carriole. Biografia non autorizzata di Franco Gabrielli, il poliziotto che succederà a Bertolaso come capo della Protezione civile

di Angelo Venti e Manuele Bonaccorsi

Sono legati a doppio filo. Da quella mattina del 6 aprile, la frenetica riunione di governo che ha tracciato il futuro de L’Aquila. Guido Bertolaso, capo della Protezione, nominato commissario straordinario all’emergenza terremoto in Abruzzo; Franco Gabrielli, ex poliziotto, ex capo del Sisde, prefetto del capoluogo colpito dal sisma. Da allora hanno lavorato fianco a fianco. Rendendo indistingubili i loro ruoli. Gabrielli ha fatto tutto il possibile affinché controlli troppo indiscreti non rallentassero i lavori delle new town. Ha difeso il commissario quando le indagini della Procura di Firenze ne infagavano l’immacolata figura. Ha duramente definito «cialtroni» i carriolanti aquilani e ha minacciato di usare la forza contro di loro. Pedissequamente la Digos ha ubbidito, sequestrando tre pericolosi mezzi arrugginiti, guidati da altrettanti sfollati, denunciati. Dall’antiterrorismo all’ambiente intricato delle spie italiane, Gabrielli approda al sequestro delle carriole.

mercoledì 7 aprile 2010

Lettera da una sfollata alloggiata alla caserma Campomizi

Giro di vite alle visite alla campomizzi
A seguito della occupazione di una stanza presso la Campomizzi da parte di Anita, coraggiosissima donna di 85 anni che si rifiuta di stare ancora sulla costa, in assoluta solitudine, alle h. 19,00 circa, dopo l'arrivo per il secondo giorno consecutivo delle forze dell'ordine (come da regolamento della SGE, struttura gestione emergenza!), è stato affisso in bacheca un ridicolo volantino di cui vi sottolineo una piccola, ma significativa parte: "I Visitatori giornalieri non possono essere ospitati per la notte....; si specifica inoltre che con decorrenza immediata, anche al fine di garantire la migliore convivenza tra le esigemze degli sfollati e le esigenze degli universitari ( che non ci sono, salvo 3 ragazzi), non sono ammessi ingressi se non per visite ad ospiti che esprimono, in forma scritta,il proprio assenzo alla visita stessa, e in ogni caso non oltre le ore 22,00". Fate girare. E' una vergogna. Vogliono esercitare un controllo interno. Qui si sono spaventati tutti, perché abbiamo fatto entrare dei giornalisti e perché c'è Anita che, pur piangendo, non andrà via.
Bisogna fare qualcosa e fargliela scoppiare la bomba degli anziani a questi maledetti stronzi.

Anita, sfollata di 83 anni, “occupa” la caserma Campomizzi dell’Aquila

Fonte www.politicambiente.it

Quando si dice “nomen omen”, il destino nel nome… Anita, aquilana di 83 anni, ha proprio la tempra della garibaldina: dopo mesi da sfollata, da sola in una stanza d’albergo sulla costa abruzzese, tre giorni fa ha occupato una stanza di una caserma dell’Aquila, dove sono ospitati altri terremotati. La struttura Campomizzi è però da settimane al centro di una contesa e di un’assurda pretesa: quella di farvi entrare, nei posti letto liberi, non altri terremotati ancora fuori città ma universitari in affitto, per i quali in un anno non sono state trovate altre soluzioni migliori di questo odioso compromesso. Il risultato di queste scelte politiche è quello di aver creato l’ennesima guerra tra poveri. I cittadini senza casa si chiedono infatti perché abbiano maggiore diritto degli studenti fuorisede, rispetto alle migliaia di sfollati sparsi su tutto il territorio abruzzese, per i quali tra l’altro vengono spese somme che potrebbero essere risparmiate e impiegate nella ricostruzione. Dall’altro lato gli stessi universitari vengono strumentalizzati in questo braccio di ferro, loro malgrado. Eppure – sia per gli studenti sia per gli altri cittadini – sarebbero bastati, come era stato chiesto dai comitati civici fin dall’estate scorsa, i moduli provvisori e le case mobili, che non hanno nulla a che vedere con i container e che una volta terminata l’emergenza del post-terremoto all’Aquila sarebbero potuti servire altrove. La storia di Anita è quella di migliaia di aquilani, soprattutto anziani, ancora sfollati sulla costa, dove i media non arrivano e che per questo restano un esercito di invisibili. Anita è scampata al terremoto, salvata da un “giovane angelo” – come lei lo chiama – di nome Leonardo. La casa di questa signora, in pieno centro, è inagibile. Come molti altri, anziani e non, una volta chiuse le tendopoli è stata “deportata”. Lei non aveva figli ai quali unirsi e nell’assegnazione della destinazione (perché di questo si è trattato, non di scelta) non è stato considerato che all’Aquila ha un fratello, una sorella e i nipoti. Oltre ai ricordi di tutta una vita. A Montesilvano (Pescara) è stata mandata completamente sola. Perché per lei, e per moltissimi altri, non c’è ancora posto nella “sfida gigantesca” (ultime parole di Bertolaso), che si vuol far credere di aver vinto all’Aquila. Nel post-terremoto la “politica”, così hanno avuto il coraggio di chiamarla, è stata quella di lasciare fuori dalla città i nuclei di due persone o le persone sole, privilegiando il (sacrosanto) rientro all’Aquila delle famiglie con bambini, perché altrimenti, si diceva mesi fa, “la città sarebbe morta”. Neanche tra le righe questo voleva dire: altrimenti sarebbe stata una città di vecchi. Ma questa scelta non è bastata, e non basterà, a far rinascere la città di Federico II. La situazione è sotto gli occhi di tutti: il territorio ora rischia davvero di spopolarsi, proprio di giovani, per la mancanza di lavoro, per una ricostruzione che non parte, per una gestione del dopo terremoto distante dai veri problemi dei cittadini. Anita ha tutto all’Aquila e niente a Montesilvano: ha trascorso un’intera vita nel capoluogo abruzzese, dove viveva nel cuore della città e dove per quarant’anni ha avuto una tabaccheria. Era sposata con un maresciallo, che adesso non c’è più, e ha fatto parte della Croce Rossa. “Abbiamo dato tanto agli altri. Ed ora che è ho bisogno io?”, chiede quest’anziana, con gli occhi pieni di lacrime, spaurita ma al tempo stesso forte e fiera. A Montesilvano, come migliaia di anziani che si trovano ancora negli alberghi lontani, dove devono essere tenuti nascosti e zitti perché non esca fuori il fallimento della politica delle promesse, Anita passa giornate intere dentro una stanza d’albergo, dove l’unica cosa che si può fare è pensare: ai ricordi, allo sradicamento presente, ad un futuro più incerto e malinconico di quanto già non lo sia quando la maggior parte della propria vita è alle spalle. Per queste persone la depressione è il minimo. Molti anziani sanno che non rivedranno L’Aquila ricostruita, bella com’era, ma sanno anche che forse non la rivedranno proprio. Molti vecchi, dal 6 aprile 2009, sono già morti da sfollati, sradicati e disorientati. Dopo una vita di sacrifici si pensa di poter godere gli ultimi anni tra i ricordi nel posto del cuore, dell’infanzia, dei primi amori, del grande amore. E invece non è così, neanche questo lo Stato riconosce come diritto. Dopo l’occupazione della stanza presso la caserma sono arrivate due volte le forze dell’ordine ma Anita è rimasta. “Io da qui non me ne vado. Ci sono tanti posti liberi”, racconta. A quel punto, il 2 aprile, è giunta presso la caserma una comunicazione da parte della Struttura per la Gestione dell’Emergenza (Area assistenza alla popolazione), ufficio che si trova presso il Comune. Nel documento (prima foto nella galleria in fondo alla pagina) si ribadisce che “i visitatori giornalieri non possono in nessun caso essere ospitati per la notte” e che possono restare fino alle 22. Un modo, spiega Antonietta Centofanti (promotrice del Comitato Familiari Vittime della Casa dello Studente e ospite anche lei della Campomizzi), per aumentare i controlli su chi entra e chi esce dalla struttura. Nelle due caserme dell’Aquila messe a disposizione dei terremotati, la Campomizzi e la Caserma della Guardia di Finanza di Coppito, ci sono circa 600 posti liberi, ribadisce Centofanti. Che si aspetta a far tornare gli aquilani sparsi altrove?
“Politicambiente” seguirà gli sviluppi di questa e di altre storie simili. Anita vincerà la sua battaglia, ce l’ha scritto nel nome e nella tempra, anche perché deve fare da avanguardia al ritorno di migliaia di aquilani, e dei più vecchi, nella città. Perché L’Aquila non può rinascere senza gli anziani, la memoria storica più preziosa che ogni comunità possa avere.

Guarda il video di RepubblicaTV

venerdì 2 aprile 2010

Sequestri, denunce e scomuniche


Sequestri, denunce e scomuniche
L’attacco congiunto di Stato e Chiesa al popolo delle carriole
Dopo l'intimidazione del Prefetto che imponeva il silenzio elettorale anche alle carriole, il sequestro domenica da parte della Digos di queste terribili armi di distruzione di massa e l’identificazione di decine di scarriolanti, arrivano, insieme alle denunce anche le “scomuniche” della Curia al popolo delle carriole.
A margine di una cerimonia in Vaticano l'arcivescovo dell'Aquila, Giuseppe Molinari, leva il suo allarme: «Sembra che ci sia qualcuno molto interessato alle “carriolate” perché vuole creare dal punto di vista politico un gruppo che abbia autorità nella ricostruzione ... per poter entrare poi nella cabina di regia delle attività di rimozione delle macerie e di ricostruzione ... Ogni tanto succedono degli episodi poco simpatici ed io non ho paura di dire che spesso ci sono delle strumentalizzazioni di gruppi che vengono da fuori e che non hanno niente a che fare con L’Aquila vera» e ancora: «Proprio ieri è venuto da me un amico, che ha anche un posto di responsabilità in città, e mi ha detto di essere preoccupato perché ha sentito dire che il giorno di Pasqua vogliono fare i turni per togliere le macerie. Ma non è possibile, almeno la Pasqua ce la lascino libera! »
Forse sarebbe il caso di ricordare a sua Eccellenza i principi morali a cui il “buon pastore” dovrebbe ispirarsi, prima di scagliare anatemi così “coraggiosi” sui terremotati, su chi è rimasto praticamente senza niente, sui poveri, su chi è schiacciato da interessi politici ed economici enormi e si autorganizza per dar voce ai propri bisogni. Ma qualcuno lo ha già fatto e meglio di noi.
Quello che emerge chiaro e forte dalle parole del Vescovo e dall’azione sinergica delle forze governative e poliziesche è che, come un anno fa, guai a chi osa disturbare il manovratore, intralciare i piani di Governo, Regione, Provincia, Comune e, soprattutto, la saggia regia di San Guido Bertolaso, della Curia e il suo gregge, quello dei Gentiluomini di Sua Santità, procacciatori di appalti, escort e gigolò seminaristi, di tutti quelli che a un anno del terremoto hanno lasciato le macerie al loro posto, disperso gli sfollati, lucrato enormi affari dal G8, la costruzione delle C.A.S.E., l’acquisizione da parte della Curia di strutture, terreni e soldi pubblici, come il complesso religioso di piazza d’armi o la nuova casa dello studente.
Questa è "L’Aquila vera" che l'arcivescovo vorrebbe difendere, non quella degli aquilani di buona volontà, che con il loro lavoro e la solidarietà si rimboccano le maniche per ricostruire le proprie case, la propria città.
La libertà per noi, Signor Vescovo, Signor Prefetto, vale ben più di una denuncia o di una scomunica. La libertà per noi è partecipazione, non celebrare i propri riti in una città fantasma in mezzo ai detriti, dove, tra il silenzio elettorale e quello degli agnelli si spegne anche l’ultimo sogno di veder risorgere, insieme al Cristo, anche la nostra città.

Sfollati autorganizzati

venerdì 19 marzo 2010

Dall'Aquila a Joy, Hellen, a tutte le donne in lotta


L’Aquila, venerdì 19 marzo

All’Aquila ieri sono tornati i militari in forze per liberare la città dalle macerie, dicono. Per liberare la città dalle carriole, diciamo noi e dal dissenso. Tutto deve essere apparentemente perfetto ed efficiente per le elezioni, anche la demagogia di uno Stato clerico-fascista e medioevale, che si prepara ad essere di nuovo legittimato dal gioco elettorale e benedetto dall’ipocrisia clericale.

All’Aquila qualcosa oggi ha tentato di rompere questa ipocrisia, questo gioco truccato.

Sullo sfondo di un tendone con su scritto “Riprendiamoci la città”, contro le porpore dei prelati, gli alti gradi dei militari, le facce toste di Sindaco, Presidente della Regione e autorità varie accorse a celebrare il proprio successo sulle macerie inaugurando la chiesa delle anime sante (ristrutturata solo in parte con i soldi degli USA), un cartello ben visibile è stato apposto, in alto, sul lampione più vicino alla passerella di politici e curia. Diceva: “512milioni di euro per il G8, 2.700 euro/m² per le C.A.S.E., per gli esclusi dalle C.A.S.E. niente case, solo macerie”.

Sul piedistallo di quel lampione sono salita con un altro cartello per Joy, Hellen, tutte le donne che lottano contro il marciume e la violenza di questo barbaro sistema capitalistico. Su quel cartello c’era e c’è scritto, nonostante lo “strappo”: “LA POLIZIA LE STUPRA NEI CIE + I NOSTRI MILITARI IN SOMALIA + I PADRONI RIDENS LE VENDONO AI FUNZIONARI DELLO STATO E AI GENTILUOMINI DI SUA SANTITA’ = STATO E VATICANO MAGNACCIA E STUPRATORI. m.f.p.r. = solidarietà a Joy, Hellen e tutte le donne in lotta”

La Digos mi ha fatto le lastre: i maschi quasi mi facevano la colposcopia, ostentando il fatto che si stavano appuntando tutto di me, non mi sganciavano gli occhi di dosso. Le digossine invece sono salite sul piedistallo, davanti a me, per cercare di nascondere i cartelli e quando un alto prelato li ha notati, una di loro ha cercato di spingermi via a culate ma non ce l’ha fatta. Il suo collega, dopo avere strappato il cartello attaccato al lampione ha iniziato a strapparmi dalle mani quello per Joy ed Hellen. Io mi sono messa a gridare, ho urlato a tutti i presenti di guardare bene qual’è la loro democrazia e il digossino ha dovuto restarsene buono. Un signore anziano e la sua compagna, che prima avevano apprezzato il cartello, mi hanno aiutata a riattaccarlo.

Sono rimasta in presidio per 2 ore

e ho sentito il calore di chi non avevo mai visto prima, di chi non avevo mai visto neanche a un’assemblea, quello dei vigili del fuoco, quello di donne e uomini non abituati alla piazza. Eppure questi uomini e queste donne mi hanno aiutata. In silenzio, da loro mi sono sentita protetta e le/li ringrazio per questa preziosa solidarietà

Luigia

Da Taranto alle donne dell'Aquila

UNA IMPORTANTE, ENTUSIASMANTE, ALLEGRA DUE GIORNI.

La due giorni "Bagagli per un viaggio delle donne in lotta" organizzata a Taranto il 13/14 marzo dalle compagne del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario, si è svolta in un clima bello, reso caldo dallo spirito combattivo, dal piacere di trovarsi, socializzare, conoscersi di compagne, disoccupate, lavoratrici che fino al giorno prima erano state impegnate in lotte, e, per alcune realtà, in manifestazioni nell'8 marzo; anche durante il convegno sono arrivate le notizie e i saluti di lavoratrici, precarie in lotta nella stessa giornata del 13, come da Palermo,dove il giorno prima vi erano state le cariche della polizia e da dove le compagne che hanno partecipato alla due giorni hanno portato uno striscione delle precarie in regalo alle disoccupate di Taranto. Nel primo giorno si sono socializzate le lotte di questi mesi, dal nord al sud, in cui si uniscono gli attacchi concreti al lavoro e alle nostre vite agli attacchi alla nostra condizione generale di donne. Per questo le proletarie nell'assemblea hanno rilanciato la sfida: PREPARIAMO NEI PROSSIMI MESI LO SCIOPERO TOTALE DELLE DONNE che intrecci la battaglia per il lavoro alla lotta contro la doppia oppressione. Non a caso, lo striscione che le disoccupate di Taranto avevano messo nella sala, riprendeva un vecchio ma quanto mai valido slogan del movimento femminista: "tremate, tremate, le streghe son tornate"! E' quindi stato deciso di collegarsi con le realtà di lotta più significative delle donne, anche con incontri diretti, per lavorare insieme per lo sciopero. Nell'assemblea si è parlato anche delle altre lotte delle donne. In particolare è stata raccontata la battaglia delle donne a L'Aquila dall'inizio del terremoto a questi giorni contro gli sciacalli ridens; è stato denunciato perchè le new town di Berlusconi in particolare per le donne significano isolamento, "insonorizzazione", soffocamento scientifico della necessità di socializzazione. Nell'assemblea le lavoratrici, le disoccupate hanno detto che andremo a L'Aquila a incontrare queste donne per dare e ricevere forza. E' stata portata nell'assemblea la rivolta delle immigrate e la battaglia in corso per Joy e contro la polizia che stupra; e si è preso l'impegno a sostenere le lotte in corso per la libertà dai campi di concentramento dei CIE e il permesso di soggiorno alle sorelle immigrate; ma anche a sostenere dalle altre realtà l'iniziativa delle compagne di Milano perchè l'ispettore di polizia che ha tentato di stuprare Joy venga processato e condannato. Su tutto questo, nell'assemblea sono stati fatti messaggi alle lavoratrici, disoccupate, alle donne de L'Aquila, alle immigrate. Ma soprattutto da vari interventi è stata denunciato con forza il salto di qualità in basso, pratico, politico, ideologico, culturale, che viene portato avanti sull'intera condizione delle donne: dalla sacra famiglia, all'espandersi del maschilismo, ai messaggi subliminali e marci del mondo mass mediatico, con in testa l'uso schifoso dei corpi femminili da Berlusconi ai Vescovi, ecc. - e che questa condizione è una cartina di tornasole del moderno medioevo a cui si vuole portare l'intera società. Ma le donne, soprattutto le proletarie che ogni giorno lottano, non stanno a lamentarsi: come stava scritto in altri striscioni nella sala: "abbiamo deciso di alzare la testa!", "tutta la vita deve cambiare!". Per questo la conclusione della prima giornata dell'assemblea è stata la visione di un bel e entusiasmante video che mostra, con immagini, musiche, il percorso già in atto della lotta generale femminista, proletaria, rivoluzionaria delle donne, nel nostro paese come a livello internazionale. Un percorso che unisce la ribellione della maggioranza delle donne, alla distinzione di classe perchè le donne in questa società non sono tutte uguali, alla battaglia rivoluzionaria per rompere le doppie catene, alla ripresa storica delle tappe più importanti della doppia lotta per le donne per una società socialista in cui le donne abbiano un ruolo di direzione perchè la rivoluzione vada a fondo non si fermi a metà strada, una rivoluzione nella rivoluzione che trasformi il cielo e la terra fino al comunismo. Al video è seguito un allegro buffet, in cui ogni disoccupata ha portato qualcosa da mangiare e bere. IL VIDEO SARA' AL PIU' PRESTO MESSO A DISPOSIZIONE DI TUTTE LE DONNE CHE CE LO CHIEDONO. E' questa determinazione, questo entusiasmo, che le compagne, le lavoratrici, le disoccupate, precarie porteranno alla Conferenza Mondiale in Venezuela del 2011 - per cui già nell'assemblea si è cominciato a vedere il modo pratico di andare, e di fare una campagna anche per raccogliere fondi. Nel secondo giorno questo percorso femminista proletario rivoluzionario ha visto un approfondimento, anche teorico, attraverso il lavoro su materiali, testi, per lo sviluppo con nuove elaborazioni in stretto rapporto con la pratica, del nuovo pensiero e nuova prassi del movimento delle donne, che le compagne del MFPR hanno avviato dal 1995, in rapporto anche con le elaborazioni più avanzate a livello internazionale. E' stato prodotto un PRIMO DOCUMENTO (in itinere): "APPUNTI PER UN NUOVO PENSIERO E PRASSI FEMMINISTA PROLETARIA RIVOLUZIONARIA". Siamo tornate poi sull'appuntamento del Venezuela, per approfondirne i temi, in termini propositivi ma anche critici - perchè per noi anche questo appuntamento va costruito unendo teoria e pratica, i documenti/incontri alla pratica continua di lotta delle donne, distinguendo ciò che è l'agire rivoluzionario del movimento delle donne, dal parlare di rivoluzione/socialismo ma praticare le vuote parole e la piena socialdemocrazia. SU QUESTO PERCORSO IL SECONDO GIORNO SI E' CONCLUSO CON UN NUOVO, PIÙ LUNGO, APPUNTAMENTO PER QUEST'ESTATE. Stiamo preparando un dossier con gli interventi e i materiali più significativi della due giorni, che metteremo a disposizione. Per richiederlo: e mail mfpr@fastwebnet.it - 3475301704 (Margherita) 3408429376 (Donatella). Chiaramente sia messaggi che dossier che foto li metteremo appena pronti sul blog: http.//femminismorivoluzionario.blogspot.com/ Compagne, in particolare da Roma, da Bologna, da Milano e alcune realtà di lavoratrici in lotta, pur non potendo venire hanno mandato saluti e messaggi, noi le ringraziamo molto e i loro saluti sono stati letti e accolti con calore dall'assemblea.

L'ASSEMBLEA DELLA DUE GIORNI
"BAGAGLI PER UN VIAGGIO DELLE DONNE IN LOTTA".

Taranto, 13/14 marzo 2010

lunedì 15 marzo 2010

Sfollata aquilana occupa la sede della Protezione civile di Giulianova

da Il centro, di Sandro Petrongolo

Pendolare da mesi, non ce la fa più Docente aquilana occupa la sede della Protezione civile di Giulianova

GIULIANOVA. Occupa simbolicamente la Protezione Civile per manifestare il proprio disagio che ormai dura da undici mesi: è il gesto disperato di S.E.G., 54 anni, sfollata, docente universitaria aquilana, che tre giorni fa ha deciso di stabilirsi nella sede della Protezione Civile di Giulianova per reclamare un alloggio, atteso da dicembre, che le permetta di continuare a lavorare senza estenuanti viaggi, senza cambiare sei autobus ogni giorno e senza vivere da pendolare l’intera giornata. La donna, che insegna nella facoltà di Lettere della città devastatata dal sisma, non ce la fa più. Chiede una sistemazione stabile, a distanza di quasi 12 mesi dal terremoto del 6 aprile 2009: la sua abitazione, situata nella “zona rossa”, è classificata “E”, quindi totalmente inagile.
Ogni giorno, l’insegnante sfollata per poter raggiungere il posto di lavoro deve dover cambiare fino a sei autobus.
Ogni giorno, per raggiungere Bazzano, dove ha sede la facoltà, e guadagnarsi lo stipendio, S.E.G. vive il suo piccolo estenuante calvario fatto di pranzi frugali, panini, cappuccini e attese alla fermata del bus. Una situazione peggiorata dall’incertezza e dalla mancanza di prospettive, dopo mesi di pellegrinaggio non solo lungo la costa abruzzese: la professoressa di lingue, in seguito al terremoto, è stata ospitata per quattro mesi in un albergo di Vasto. Poi ha trovato una sistemazione autonoma a Penne, per finire, da ottobre, in un hotel di Tortoreto. E lì è rimasta. A ciò si aggiunge la fatica quotidiana per recarsi a lavoro: per essere presente alle 14 nell’università, la donna, sprovvista di patente di guida, deve prendere un primo autobus per Giulianova; da qui uno che la porti a Teramo, poi un altro per giungere all’A quila, nei pressi della fontana luminosa, quindi un bus che la porti al terminal, e da qui un ulteriore mezzo per arrivare, finalmente, a Bazzano. La stessa odissea si ripete la sera, per tornare a casa alle 21.30, da dove l’insegnante si allontana alle 10.30 del mattino. La sfollata ora se la prende con la Protezione Civile. A dicembre le era stato promesso che entro il primo gennaio sarebbe tornata all’Aquila, ma la scadenza è slittata la prima volta all’inizio di febbraio. E poi è slittata ancora perché la donna è single, e quindi non rientrante nel progetto «Case». Così le viene offerto un posto in un albergo di San Demetrio oppure in un hotel a 45 minuti di distanza (per lei che va a piedi) dal terminal autobus. La docente sfollata però non se la sente più di affrontare altre fatiche, così decide di occupare la sede della protezione civile di Giulianova. E la sua diventa una storia simbolo per tanti sfollati.

giovedì 4 marzo 2010

Bertolaso - L'uomo dell'Opus Dei

da www.lavocedellevoci.it

di Rita Pennarola

Dietro fatti, misfatti e protagonisti del grande affare emergenza, dalla Maddalena all'Aquila, passando per i Mondiali di nuoto e i rifiuti di Napoli, spuntano retroscena che riportano immancabilmente dentro le austere stanze dell'Opus Dei. A cominciare proprio dallo stesso sottosegretario, fino ai Gentiluomini di Sua Santita' Gianni Letta ed Angelo Balducci. In esclusiva, ecco tutti i nomi.

Bertolaso, la mano de Dios. Parafrasando il celebre film su Maradona, raccontiamo qui le potenti protezioni di un uomo che davvero - e non per meriti sportivi - si muove da sempre a un passo da Dio. Anzi, a un passo dall'Opus Dei, stella polare della folgorante carriera di Guido Bertolaso, quell'altisonante dietro le quinte finora trapelato solo di striscio ma che adesso, alla luce dell'inchiesta giudiziaria di Firenze, la Voce porta sotto i riflettori in tutta la sua manifesta influenza. Si', perche' la maggior parte dei protagonisti del gigantesco, illecito meccanismo descritto dal gip fiorentino Rosario Lupo nelle 126 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare, ci riportano immancabilmente oltre Tevere e, in particolare, dentro gli austeri palazzi dei Parioli dove ha sede la piu' settaria delle consorterie religiose cattoliche: la Prelatura dell'Opus Dei.
Passiamo ora in rassegna, uno ad uno, i personaggi in odor di Opus coinvolti nell'inchiesta fiorentina ed alcuni fra i loro “santi protettori” che rivestono funzioni di governo del Paese.

BERTOLASO - Partiamo proprio da lui, il super sottosegretario alla Protezione civile e capo dell'omonimo Dipartimento. Un decisionista spinto, l'uomo del comando nelle cui mani il premier Silvio Berlusconi aveva affidato la summa dei poteri per opere da miliardi di euro destinate a trasformare il volto del Paese. E senza alcun controllo.
Capace, navigato quanto basta lungo missioni all'estero ultradecennali, Guido Bertolaso fin dagli esordi della sua carriera ha potuto pero' contare su una credenziale di tutto riguardo: quello stretto collegamento con la corazzata della fede fondata da san Josemaria Escriva' de Balaguer che ogni porta sa aprire e, soprattutto, garantisce sulla assoluta “affidabilita'” dei suoi uomini rispetto alle linee prefissate. Quasi sempre altrove.
L'avvicinamento del giovane Guido all'Ovra - contrariamente a quanto vuole la leggenda - non comincia con la “chiamata” al fianco di Giulio Andreotti negli anni ‘80, bensi' assai prima. Basta considerare le origini familiari del brillante ed ambizioso medico, che sono ancora oggi profondamente radicate in quell'area del Veneto bianco a cavallo fra le province di Verona e di Vicenza. Ed e' nel veronese, precisamente a Cazzano di Tramigna, 1400 anime o poco piu', che nel dopoguerra i Bertolaso sono gia' una famiglia importante. Arrivati a inizio secolo nella zona dei mulini per impiantare un pastificio, i nonni dell'attuale sottosegretario allevano quattro figli maschi: il primogenito, Giorgio (padre del sottosegretario), che diventera' generale dell'aeronautica; Francesco, che sara' sindaco del piccolo comune negli anni sessanta, e poi Luciano e Stanislao, entrambi ricordati in paese per i brillanti risultati conseguiti nel ciclismo. Mentre il ramo che fa capo a Giorgio (scomparso novantenne lo scorso anno) si era trasferito ben presto a Roma, in Veneto restava l'altro, importante nucleo della dinasty: quello che ha dato i natali a due attuali membri dell'Opus Dei, entrambi assurti a cariche ufficiali di tutto rilievo.
La prima e' Marta Bertolaso, giovane e gia' nota biologa, attualmente ricercatore al Campus Biomedico di Roma (universita'-colosso dell'Opus in Italia), nonche' presso la Fondazione Rui (altra costola dai fatturati miliardari) ma, soprattutto, nominata fin dal ‘99 membro del Consiglio della Delegazione italiana dell'Opus Dei con decreto del Prelato. Nel 2002 tocca ad Emanuele Bertolaso, trasferitosi a Vienna, che ad ottobre viene investito della carica di membro del Consiglio regionale per l'Austria.
Lo stesso Guido Bertolaso, del resto, non ha mai mancato di far sentire, sia pure in forma discreta e senza troppa pubblicita', la sua presenza al fianco dell'Ovra. Il 25 luglio dello scorso anno apre ufficialmente i lavori della Summer School organizzata a L'Aquila dalla Fondazione Rui, cui prendono parte fra gli altri Claudio Sartea e Juan Andre's Mercado della Pontificia Universita' della Santa Croce ed il banchiere Ettore Gotti Tedeschi. A novembre lo troviamo in veste di guest star, sempre alla Fondazione Rui, per spiegare agli allievi dell'esclusiva residenza romana (con diramazioni fra le e'lites studentesche di tutto il mondo) «il segreto del suo impegno professionale in seno alla Protezione civile».

BERLUSCONI - Ora che il rapporto fra il sottosegretario e l'Opus assume contorni piu' definiti, passiamo agli altri “religiosissimi” gran registi degli accordi sulle maxi opere emergenziali finite all'attenzione di ben tre Procure (oltre a Firenze, indagano infatti anche Roma e Perugia).
A cominciare, naturalmente, dal premier Silvio Berlusconi. Il quale delle sue frequentazioni ai collegi dell'Opus fin dalla “tenera” eta' non ha mai fatto mistero. Fu proprio alla Residenza Torrescalla, sede milanese delle Fondazioni Rui, che nacque il sodalizio di ferro con Marcello Dell'Utri e con un altro supremo vertice dell'Opus, quel reverendissimo padre Mariano Fazio che dal 2002 e' rettore magnifico della Pontificia Universita' della Santa Croce. Non meno noto e' poi il legame fra Berlusconi e don Luigi Verze', padre padrone di un'altra corazzata sanitaria in odor di santita' capace ogni anno di fabbricare euro a miliardi, il network delle case di cura private San Raffaele. Se pur dal punto di vista amministrativo disgiunte dal giro d'affari opusdeista, le cliniche San Raffaele e la annessa universita' si valgono di una collaborazione costante con sigle di primo piano dell'apparato di San Josemaria, come dimostra, per fare solo un esempio, l'assidua presenza al San Raffaele di una professoressa come la numeraria (e deputata del Pd, ora Udc) Paola Binetti, docente al Campus Biomedico.

LETTA - E non e' affatto un caso che quella mattina dell'11 marzo 2008. in occasione dell'inaugurazione della nuova sede dell'Universita' Campus Biomedico di Trigoria, alle porte di Roma, si fossero ritrovati insieme il Prelato dell'Opus Dei Javier Echevarría, il segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone, l'allora presidente della Regione, il “pio” Piero Marrazzo, e Gianni Letta, quest'ultimo giunto alla cerimonia non solo per i suoi incarichi istituzionali nell'esecutivo Berlusconi. Letta infatti siede nell'advisory board del Campus, insieme al portavoce ufficiale dell'Opus Joaquín Navarro-Valls e a mister Banca di Roma Pellegrino Capaldo. E' lui, Letta, che chiama a se' Bertolaso dopo la formazione politica sul campo che il giovane medico aveva maturato alla scuola di Giulio Andreotti (altro devoto - e conclamato - militante dell'Opus Dei).
Ne' si tratta di frequentazioni di poco conto. Basti considerare che Letta - fra i primi a difendere a spada tratta Bertolaso dopo il turbine giudiziario di meta' febbraio - e' oggi nel ristretto novero dei Gentiluomini di Sua Santita', costola laica del ristretto entourage papale in Vaticano. La sua investitura era stata voluta nel 2007 dallo stesso Benedetto XVI insieme, fra le altre, a quella di Leopoldo Torlonia, presidente dell'ancor piu' aristocratico Circolo San Pietro. Assistente ecclesiastico del Circolo (vale a dire la massima autorita' religiosa prevista dall'organigramma) e' poi l' “Ill.mo e Rev.mo Mons. Franco Camaldo”, uomo da sempre vicinissimo a Joseph Ratzinger.
Il nome di monsignor Camaldo era rimbalzato nell'ambito dell'inchiesta condotta dal pm di Potenza John Woodcock su traffici internazionali di matrice massonica che aveva coinvolto, fra gli altri, Vittorio Emanuele di Savoia. La vicenda - che in qualche modo, come vedremo, ci riporta all'inchiesta fiorentina sul G8 - e' stata ricordata nel libro “Il caso Genchi”, Aliberti Editore, scritto dallo stesso Gioacchino Genchi con Edoardo Montolli. Il riferimento e' al procedimento disciplinare, conclusosi con un provvedimento di censura, condotto dal Csm a carico di Vincenzo Barbieri, attuale procuratore capo di Avezzano, negli anni in cui era direttore generale di via Arenula con guardasigilli Clemente Mastella. «Barbieri - scrive Genchi - e' stato tirato in ballo da Woodcock in una brutta storia di massoneria, l'ennesima, sospettato di favoreggiamento nei confronti di un alto prelato del Vaticano su cui a Potenza si indagava: monsingor Francesco Camaldo».
Tanto la posizione di Barbieri quanto quella di monsignor Camaldo sono poi state archiviate dal gip di Potenza. Ma restano le intercettazioni nelle quali Barbieri si confida a lungo con un amico: e' Achille Toro, lo stesso procuratore aggiunto di Roma indagato nell'ambito dell'inchiesta che ha travolto Bertolaso e per questo dimessosi, nelle scorse settimane, dalla magistratura.

BALDUCCI - La vicinanza alle alte sfere vaticane di Angelo Balducci, il presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici arrestato nell'ambito dell'inchiesta di Firenze, e' fuori discussione. Non altrettanto nota, forse, e' la rete di protezioni di cui ha potuto godere nelle altolocate gerarchie dell'Opus Dei. Se infatti, all'indomani della bufera giudiziaria, venne subito alla luce la presenza di Angelo Balducci - al pari di Gianni Letta - fra i Gentiluomini di Sua Santita', piu' in sordina arrivano invece le notizie sulla lunga collaborazione, avviata fin dai maxi appalti per il Giubileo del 2000, fra l'ingegner Balducci, Guido Bertolaso e l'allora presidente del comitato organizzatore dell'Anno santo, il cardinale Crescenzio Sepe. Prefetto della “Propaganda Fide”, di cui Balducci diventa “consultore”, Sepe e' fra i cardinali piu' vicini alla Prelatura. Tanto che le sue preghiere e meditazioni vengono regolarmente riportate nei siti ispirati all'opera di San Josemaria.

MASI - Capri non e' solo il nome della fiction Rai per casalinghe disperate piu' gettonata del momento, ma anche la location preferita dagli uomini della “cricca grandi lavori” passata ai raggi X dalla Procura di Firenze. A settembre 2008 «per il trasferimento di Angelo Balducci da Roma a Palermo con sosta a Capri» viene noleggiato «un idrovolante per due
persone al costo di 3.800 euro piu' iva». A pagare ci pensava naturalmente Diego Anemone, il trentanovenne costruttore romano che si era accaparrato la piu' grossa fetta degli appalti per i “grandi eventi”. Ovvio percio' che quando a giugno 2009 il professor Mauro Masi, direttore generale della tv di stato, telefona ad Anemone per sollecitargli l'assunzione presso il Salaria Sport Village del giovanotto anacaprese Anthony Smit, gia' concordata con Balducci, Diego Anemone scatti sugli attenti. Poche settimane dopo il ragazzo, fratello della fidanzata di Masi Susanna Smit, sara' assunto, con un paio di stipendi anticipati ed un appartamento in fitto nella capitale tutto per se'.
Ma anche dietro il coinvolgimento di Masi (che pero' non risulta indagato) nell'inchiesta fiorentina non poteva non spuntare lo zampino di mamma Opus. E' infatti di novembre 2009 la nomina a sorpresa, voluta dal dg Masi, del rampante trentaduenne sanremese Marco Simeon al vertice dell'ufficio relazioni istituzionali ed internazionali della Rai. Masi impone quella candidatura sfidando il voto contrario dei presidente Paolo Garimberti e di mezzo consiglio d'amministrazione.
L'enfant prodige Simeon proviene da quel fertile humus della Liguria che si nutre delle cure assidue di Claudio Scajola e del cardinale Angelo Bagnasco. Il giovane si schermisce e nega di far parte dei numerari o soprannumerari dell'Opus Dei (elenchi, peraltro, tuttora coperti da assoluto segreto), ma sono tante le circostanze che riconducono di prepotenza il suo nome alle stanze della Prelatura. Una su tutte: fin dal 2006 Marco Simeon, nemmeno trentenne, sedeva gia' ai vertici della Fondazione Carige (Cassa di Risparmio di Genova e Imperia), e non da solo. Perche' appena un gradino piu' sopra c'era anche Vincenzo Lorenzelli, docente di chimica nonche' magnifico rettore del Campus Biomedico dell'Opus Dei. Del resto, la Fondazione Rui da molti anni riceve regolarmente finanziamenti dalla Carige. E Lorenzelli a inizio 2010 spicca il volo - fra mille polemiche - anche in vetta al piu' importante presidio ospedaliero ligure, il Gaslini di Genova, del quale era stato nominato gia' nel 2005 commissario straordinario dal cardinale Tarcisio Bertone. Tutto in casa.
E che la longa manus dell'Ovra sia tutt'altro che estranea alle pedine da muovere sullo scacchiere della Rai non lo dimostra solo l'esempio Masi-Simeon. Se infatti a Viale Mazzini i seguaci del Santo possono contare su un direttore generale tanto religioso, a Napoli dormono sonni ancor piu' tranquilli. Almeno da quando - e sono ormai quasi dieci anni - al timone del TGR di Fuorigrotta siede Massimo Milone, altra personalita' da sempre vicinissima alla Curia locale, molto attento anche alle attivita' dell'IPE, l'istituto formativo per giovani e fanciulle di famiglie bene gestito dalla sede locale dell'Opus Dei. Fuori discussione, infine, il ruolo di Angela Buttiglione, direttore generale di Rai Corporation nonche' sorella di quel filosofo dell'Udc Rocco Buttiglione che all'Opus Dei e' a casa sua. Da sempre.

VOTO A PERDERE...

... SOLO LA LOTTA PAGA !

Dopo quasi 11 mesi di attese, illusioni, oscuramenti mediatici e strumentalizzazioni pre-elettorali, il 28 febbraio la coscienza dei cittadini aquilani si è risvegliata dal torpore. In migliaia si sono riversati nel centro storico per riconquistare il proprio diritto all’autodeterminazione, la dignità di un popolo ferito a morte non solo dal terremoto, ma dallo sciacallaggio che politici, affaristi, istituzioni e media hanno perpetrato di fatto ben prima del terremoto.
308 persone il 6 aprile hanno perso la vita mentre altri ridevano quella notte.
308 persone hanno perso la vita perché la sicurezza dei cittadini per la Commissione Grandi Rischi e per lo Stato sono “problemi di ordine pubblico”.
308 persone hanno perso la vita per malaffare.
Quel malaffare coperto e favorito per decenni da amministrazioni di destra e di sinistra, da chi, pur sapendo che l’Aquila era ad alto rischio sismico l’ha lasciata in zona sismica 2 per favorire la speculazione edilizia.
E’ questo sistema economico che mercifica tutto: la vita, la salute, la sicurezza, l’ambiente. Ora chi ha preso denaro pubblico per costruire opere insicure, chi ha taciuto affinché crollassero, gode di promozioni e riconoscimenti e continua a prendere soldi pubblici per ricostruire. Il profitto, il business della ricostruzione è sempre stato il movente della guerra dei padroni.
Le inchieste sul G8 e il business della ricostruzione all’Aquila, hanno soltanto mostrato una piccola crepa di questo sistema, un sistema politico-economico-affaristico sempre più lontano dai bisogni dei cittadini e dell’ecosistema che pretende governare.
512..474.000,00 € hanno pagato gli italiani per il vertice più folle, beffardo, inutile e costoso della storia recente e mentre gli amministratori locali “scodinzolavano” dietro a quel vertice, tutte le forze politiche e sindacali confederali lanciavano una campagna dissuasiva verso le mobilitazioni popolari per non disturbare il manovratore.
Ora questi politici devono assumersene le responsabilità. Il macabro teatrino, con gli 8 potenti della terra tra le macerie dell’Aquila non ha rilanciato l’economia della città, ma solo quella di politici e affaristi: lussi, sprechi e facce toste sul palcoscenico del dolore.
2.700 €/m² sono costate le C.A.S.E. per dare alloggio a 1/5 dei cittadini dell’intero comune dell’Aquila; 1.500 €/m² solo per le piastre antisismiche, mentre per la ricostruzione delle case vere neanche 1.000 €/ m² sono previsti e le amministrazioni locali continuano a difendere la logica commissariale della dittatura dell’emergenza, quella della politica dell’arraf-fare.
Nessuna ricostruzione, non una parola di sdegno verso il generale Bertolaso, né rispetto alle indagini in cui è coinvolto, né rispetto all’uso scriteriato e privatistico di denaro pubblico, come quello attuato nelle emergenze e nei cosiddetti grandi eventi.
Le istituzioni hanno dimostrato di non essere dalla parte dei cittadini e noi non ci fidiamo di queste amministrazioni, sempre più attente all’interesse dei privati, dei padroni, dei corrotti e sempre più lontane dalla loro base elettorale.
Il 28 febbraio abbiamo dimostrato che ricostruire dal basso si può, con l’autorganizzazione, con la NOSTRA “politica del fare”, con la partecipazione di tutti.
Organizziamoci per dimostrare, anche il 28 e il 29 marzo, che abbiamo braccia forti per strappare dalle mani di tutti i commissari il nostro futuro:

NIENTE FUTURO - NIENTE VOTO !
NON SIAMO CITTADINI PER UN SOLO GIORNO !

Organizziamoci per raccogliere e restituire i nostri certificati elettorali, quel che ci serve è lotta e protagonismo dal basso, non recitare da figuranti ad un gioco truccato!

Aquilani per una rete di soccorso popolare

per contatti: sommosprol@gmail.com – 345.7612872

mercoledì 3 marzo 2010

Il foglio di Proletari Comunisti del 6 marzo

Speciale AQ 6 marzo

L’Aquila, Haiti, Cile: catastrofi sociali

Eventi naturali, effetti sociali.

Il Cile è stato colpito ancora una volta da un terremoto di magnitudo apocalittica, come lo sono stati i terremoti del 1938, del 1960 e del 1985. Con una precisione svizzera, ogni 25 anni la catastrofe si ripresenta. Il terremoto del 27 Febbraio è stato uno dei più forti registrati nella storia: 8,8 Richter.
Il conto stimato dei morti varia tra i 500 e gli 800 e c’è chi dice che una cifra definitiva augurabile sarebbe intorno alle 2.000 vittime. Attualmente si stimano due milioni di persone senza casa, letteralmente in mezzo ad una strada. Città distrutte e due intere regioni (quelle di Maule e Bio-Bio) annichilite.
Così come per il terremoto ad Haiti, o per quello in Abruzzo, o ancora per l’uragano Katrina, che colpì nel 2005 la città di New Orléans, non ci troviamo solamente di fronte all’”incontenibile e disastrosa irruenza delle forze della natura”.
Nell’epoca contemporanea, con una popolazione metropolitana che a livello mondiale ha superato quella rurale, con megalopoli in cui sono ammassate milioni di persone, con quartieri dormitorio e bidonville, con un’organizzazione economica e sociale che determina ogni aspetto delle nostre vite - quindi anche i luoghi in cui abitiamo - niente può ormai accadere senza che vi abbia un ruolo fondamentale il modo in cui è organizzato ciò che è colpito.
Quando l’uragano Katrina si avvicinava alle coste della Louisiana, nella città di New Orléans erano rimasti solo coloro che non avevano un mezzo per scappare, tantomeno una stanza in un albergo a centinaia di km di distanza affittata per tutto l’anno proprio per queste evenienze, come molti cittadini ricchi o benestanti di quella città possono permettersi di avere.
Quando gli edifici e gli ospedali dell’Aquila crollano come castelli di carta anche perché edificati con la sabbia, si può davvero pensare che non vi siano delle responsabilità in chi quegli edifici li ha costruiti, pianificati, pensando alla speculazione e al profitto?
Quando un terremoto colpisce una città come Port-au-Prince, in cui l’80 % della popolazione è sotto gli indici della povertà estrema e l’indigenza porta migliaia di persone a vivere negli slums, nelle favelas, si può davvero pensare che i 200mila morti di Haiti siano da imputare a “cause naturali”?
Quelle che ci vengono descritte unicamente come “catastrofi naturali” non possono esserlo, quanto meno non principalmente, per la banale ragione che questi eventi intervengono in contesti specifici producendo effetti che hanno, in tutto e per tutto, una natura sociale.
Per questo parliamo di catastrofi sociali, proprio perché colpiscono un mondo che è già, in se stesso, una catastrofe, “perché non sono le case dei capitalisti quelle che si afflosciano e crollano, non sono le famiglie dei borghesi quelle che rimangono senza i rifornimenti di prima necessità e non sono nemmeno i nostri padroni quelli che rimangono isolati e senza possibilità di muoversi in città di merda dove il trasporto pubblico svolge una funzione disciplinante di mero trasporto di mercanzia umana” (1).
Per questo sosteniamo che l’urbanismo, l’economia, neppure in questi casi sono innocenti. Il capitalismo è la catastrofe. Il capitalismo è la barbarie.

Gestione dell’emergenza.

"Camionette, ruspe, case sventrate. Tendopoli. (…)
Sono riusciti ad ottenere solo ieri che quelli della protezione civile non potessero
piombargli nelle tende all’improvviso, anche nel cuore della notte, per controllare. (…)
Vietato internet nelle tendopoli. Vietato di distribuire volantini nei campi. (…) La città è completamente militarizzata (…), tutte le zone e i boschi sopra la città sono gremiti di militari. (…) Per entrare nelle tendopoli bisogna subire una serie di perquisizioni umilianti, un terzo grado sconcertante (…) Le tendopoli sono imbottite di droga. I militari hanno fatto entrare qualunque cosa, eroina, ecstasy, cannabis, tutto. E’ come se avessero voluto isolarli da tutto e da tutti (…) l’importante è che all’esterno non trapeli nulla."
(da “Ho visto l’Aquila”, Andrea Gattinoni) (2)

Nelle menzogne dei vertici militari cileni e della presidentessa Bachelet (che negavano il pericolo Tsunami proprio mentre questo arrivava già sulle coste) c’è la stessa volontà di infantilizzazione, di negazione di ogni iniziativa individuale che abbiamo visto nella gestione dei campi dell’Aquila.

Quando le regole civili e sociali saltano quello che lo Stato dimostra - sia mentre aiuta, sia mentre reprime – è la volontà di scongiurare l’organizzazione autonoma delle persone, anche quella più primitiva.


Un’ora dopo il terremoto la Radio Bio-Bio trasmetteva informazioni ufficiali dell’ONEMI (Ufficio Nazionale d’Emergenza) di questa natura: “Terremoto di 8,5 gradi, 95 chilometri a nordest di Concepcion. Si esclude ogni rischio di tsunami”
Alle sei del mattino (due ore dopo il sisma) lo tsunami colpiva le isole di Juan Fernandez.
La zona costiera nei pressi di Concepcion era travolta da onde tra i tre e i venti metri a pochi minuti dal sisma. Impossibile avvertire le coste in questo caso, doveroso invece sarebbe stato avvertire gli abitanti dell’isola di Juan Fernandez – che non potevano aver sentito il sisma - dell’arrivo di un onda di tre metri ma a 500 chilometri all’ora.
Mentre New Orleans era sommersa dall’acqua e dal fango, con centinaia di morti e una popolazione che aveva perso tutto, il governo sospendeva l’invio dei soccorsi per fermare i “saccheggi”, affidando subito dopo ai militari appena rientrati dall’Iraq la gestione dell’ordine pubblico: «Chi saccheggia i supermercati sarà giustiziato sul posto».
In questo momento in Cile, mentre salgono a 2 milioni gli sfollati, mentre chi ha perso tutto cerca di sopravvivere aprendo le porte di supermercati, farmacie, grandi magazzini e prendendosi ciò di cui ha bisogno, lo Stato risponde con le forze dell’ordine, con l’esercito, mandati ad impedire i saccheggi e difendere la proprietà privata; la democrazia progressista risponde con un coprifuoco che in alcune zone è arrivato a 18 ore sulle 24 giornaliere, col divieto di circolare per le strade a persone che non hanno più un altro posto in cui stare.
Precisamente come a New Orléans e a Port-au-Prince mentre dallo Stato tardano ad arrivare – o non arrivano affatto - gli aiuti, vengono mobilitati senza difficoltà migliaia di militari per rendere effettiva la legge marziale (decretata nelle due regioni cilene più colpite dal sisma). Mentre a Concepcìon (BioBio) non arriva l’acqua per le bocche assetate, nessun problema a riempire le cisterne per gli idranti dei tank antisommossa, usati contro i saccheggiatori
I detenuti (tra cui molti prigionieri mapuche) che hanno deciso di non restare a crepare nelle galere cilene che crollano su se stesse, sono ricercati e a volte giustiziati direttamente in strada. Centinaia sono gli evasi in seguito a rivolte, novanta i detenuti catturati in seguito alla fuga e quattro quelli morti negli scontri a fuoco mentre arrivano le notizie dei primi morti ammazzati per non aver rispettato il coprifuoco.
Anche questi sono gli aiuti umanitari del governo cileno.
La verità, lo ha dimostrato il governo italiano all’Aquila, quello statunitense a New Orléans, e l’ONU con l’operazione umanitaria ad Haiti, è che i soldati arrivano sempre prima di tutto, i manganelli e i mitra prima del pane e dell’acqua: l’ordine sociale e il suo mantenimento è sempre, per lo Stato, più importante della vita dei suoi sudditi.

Autorganizzazione e espropriazione.

Chiedo per cortesia ai media di non parlare più dei saccheggi, ne di riprenderli in diretta, perché quando ne parlano la gente segue l’esempio e va in cerca di luoghi da saccheggiare.

(Hols Paulmanm, multimiliardario, padrone di catene di supermercati cileni)

Gli aquilani che qualche giorno fa si sono decisi a violare la zona rossa per ripulirla dalle macerie, ci insegnano che la pazienza ha un limite.
I saccheggiatori cileni, andando a riprendersi direttamente ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere, rubando quelle merci che loro stessi, come proletari, hanno prodotto, ci dimostrano che il limite si può superare.
E questo limite si situa precisamente nell’inconciliabilità tra le necessità delle persone e le pretese dello Stato, che nella gestione dell’emergenza vede solo un’occasione per sperimentare nuove ed estreme tecniche di mantenimento dell’ordine e disciplinamento, nella ricostruzione solo nuovi profitti da spartire.
Mentre la disperazione cresce, mentre i padroni si organizzano per proteggere le loro proprietà private con ronde altrettante private, mentre il coprifuoco e i militari riescono solo ad arginare ma non a fermare la banale ma evidentemente intollerabile volontà di vivere dei poveri, la stampa cilena costruisce la solita immagine dello sciacallo, del criminale privo di scrupoli, disposto a far profitto sulla tragedia altrui.
Non potendo screditare e mistificare totalmente i saccheggi messi in atto da fasce vastissime di disperati, questi sciacalli dell’informazione si prodigano nella costruzione di un nuovo steccato morale, distinguendo tra “saccheggiatori buoni” (chi ruba il pane) e “saccheggiatori cattivi” (chi ruba la lavatrice o un plasma). Allo stesso modo, per giustificarne la repressione generalizzata creano il diabolico fantasma delle bande armate, che chiedono il pedaggio per attraversare alcune zone o rubano tra le macerie dei quartieri.
Nel descrivere quella che è senz’altro parte della realtà post-terremoto, ovvero la guerra tra poveri e il nascere di nuove forme di comunità mafiose, dimenticano di raccontare che gli abitanti dei quartieri aggrediti da queste bande si sono, anch’essi, (auto)organizzati (in alcuni casi armandosi) per difendersi da soli; dimenticano di scrivere che spesso il frutto dei saccheggi rifornisce i campi dove si sono rifugiati i terremotati e che questi “criminali” della refurtiva ne stanno facendo un uso comune.
Quello che emerge con evidenza è che alla solidarietà tra i gestori e i guardiani dell’esistente – padroni, Stato, giornalisti –, compatti nella difesa dell’ordine e della proprietà, corrisponde un’altrettanto forte solidarietà tra oppressi, tra poveri, tra diseredati.
Il passato recente ha messo in luce come ci si trovi sempre più spesso di fronte a emergenze sociali che diventano, di fatto, stati di emergenza permanenti: i contingenti militari, il monopolio delle organizzazioni umanitarie, le zone rosse – o i coprifuochi –, l’instaurazione di leggi marziali (3) o la sospensione di fatto del Diritto democratico (5), e il business della ricostruzione rappresentano il solo modo con cui l’emergenza viene gestita.
Dal futuro non possiamo che aspettarci una sempre crescente creazione di emergenze da gestire e, gli alpini nelle strade italiane sono lì per ricordarcelo, un sempre più confuso e labile confine tra stato d’emergenza (o di guerra) e “normalità”. Le dichiarazioni dei vertici militari occidentali non fanno che confermare tali aspettative (5).
Quello che insegnano i fatti cileni è che non vi sono teorie più o meno rivoluzionarie che possano essere indicate a chi si trova nel pieno della tempesta sociale; tanto più che la teoria spesse volte – quello cileno è solo l’ennesimo caso – è ampiamente superata dalle pratiche reali degli sfruttati.
Queste pratiche – l’autorganizzazione, l’espropriazione dei signori di questo mondo, l’azione diretta, l’autodifesa (lo ripetiamo: anche armata) di fronte ad un’occupazione militare e al risorgere di nuove forme di capitalismo primitivo (quello mafioso), la solidarietà concreta tra oppressi –, sono ciò che possiamo imparare e riconoscere come uniche vie di fuga possibili dalla catastrofe che è l’organizzazione sociale in cui viviamo, perché rappresentano la negazione di questo mondo, il suo rifiuto.

E’ di questo che parlano, coi fatti, tra le macerie, le strade cilene.

E’ questo che urlano, con determinazione e coraggio, gli uomini e le donne di Concepcion.

Il capitalismo è la catastrofe. Il capitalismo è la barbarie.

internazionalisti solidali

Note:
(1) Da "A convertir en ruinas y escombros la sociedad de clases", www.hommodolars.org. Trad. italiana su: http://liguria.indymedia.org/node/5153
(2) "Ho visto l’Aquila. Lettera a mia moglie", http://abruzzo.indymedia.org/article/6521
(3) A New Orlèans, in Cile, ad Haiti.
(4) A l’Aquila, ma anche nelle banlieues parigine durante le sommosse del 2005.
(5) Vedi il documento Nato “Urban Operations in the year 2020”, ma anche: “La guerra del futuro si giocherà nelle strade, nelle fogne, nei grattacieli, nelle zone abitate tentacolari ed anarchiche che costituiscono le città cadenti del pianeta. La nostra storia militare recente è costellata da nomi di città - Tuzla, Mogadiscio, Los Angeles, Beirut, Panama, Hué, Saigon, Santo Domingo — ma tutti questi combattimenti saranno stati solo un prologo: il vero dramma deve ancora arrivare.” (Maggiore Ralph Peters dell’Army War College, 1996).

venerdì 26 febbraio 2010

L’Aquila, quando la Protezione è poco civile

di Valerio Ceva Grimaldi

BUROCRAZIA. Filomena attende da 6 anni una casa popolare. Non può firmare un contratto d’affitto, pena la decadenza dalla graduatoria. Ospitata in una caserma, da stasera rischia di andare per strada. Per la legge è una senza fissa dimora.


A Roma continua la bufera sui vertici della Protezione civile. Appalti sospetti, intercettazioni imbarazzanti, squallide risatine. Intanto, però, a L’Aquila si continua a vivere la realtà del difficile ritorno alla normalità. Difficoltà che, nel caso della signora Filomena, ultrasessantenne, nel silenzio delle istituzioni, in queste ore si stanno trasformando in vero e proprio dramma. Da stasera, infatti, a causa di una burocrazia sempre più schizofrenica, la signora non avrà più una stanza dove dormire. Nonostante sia perfettamente in regola. Ma andiamo con ordine.

Filomena è protagonista di una storia che ha davvero dell’incredibile. Ha vissuto dal 1967 a L’Aquila in un appartamento a equo canone da cui è stata sfrattata nel 2005 per scadenza di contratto. Seguendo l’iter di legge, e non possedendo una situazione economica adeguata, nel 2003 ha fatto domanda per ottenere una casa popolare. è entrata in graduatoria anche per provare a ottenere almeno una cosiddetta “casa parcheggio”. Nel frattempo, non potendo firmare un contratto d’affitto pena la perdita della priorità nella graduatoria per l’assegnazione di una casa popolare, ha trovato un posticino presso l’appartamento di alcuni amici. Con il terremoto, però, la casa dove alloggiava è stata dichiarata inagibile.

E qui comincia il calvario. Filomena è stata prima portata nei treni adibiti dalla Protezione civile per il soccorso ai terremotati, poi ospitata in una caserma della città. Intanto, la sua richiesta di un alloggio, inviata a seguito del sisma del 6 aprile, è stata rigettata dalla Protezione civile. Il motivo? Al momento del terremoto la signora non era titolare di un contratto di locazione. Formalmente, per la legge, era una senza fissa dimora. Condizione, peraltro, comune a molte altre persone. Ed è a questo punto che la protagonista di quello che di lì a poco sarebbe diventato un dramma viene travolta dal buco nero dell’italica burocrazia. Infatti, se Filomena avesse concluso un contratto di locazione «che non avrei nemmeno potuto permettermi», spiega a Terra, avrebbe automaticamente perso il diritto all’assegnazione di una casa popolare. Dalla Protezione civile le hanno detto che della sua situazione avrebbe dovuto occuparsene il Comune.

Dal Comune le hanno risposto di non avere competenze sulla questione e che, indirizzandoli a loro, la Protezione civile voleva solo lavarsi le mani del problema. Tanto per non tradire un’altra italica abitudine, che troppo spesso degrada nello scaricabarile. Filomena, sempre più provata, torna più volte per chiedere spiegazioni. Per chiedere un posto dove stare. Risultato? Nulla. Solo un continuo, e un po’ mortificante, andirivieni da un ufficio all’altro. Ieri, poi, la situazione è peggiorata: le è stato notificato dai Vigili urbani l’invito a lasciare entro 24 ore la camera della caserma che fino ad ora l’ha ospitata. Senza che le venisse prospettata una soluzione alternativa. Se non la strada. Se non tornare a chiedere ospitalità a qualche conoscente. «Eppure sono in graduatoria per avere una casa popolare, finanche una casa-parcheggio. Da 6 anni sto aspettando. Ma la casa non me l’hanno mai data. Mi hanno sempre risposto che non ce n’erano. Eppure a molti le hanno date. E allora c’erano!».

In televisione i nuovi alloggi del progetto C.a.s.e. hanno fatto faville. Peccato che Filomena potrà continuare a vederli solo in tv. Non aveva un contratto di locazione. E quindi, per lei, niente casa. «Pensi», ci rivela con un filo di voce, fiaccata dalla fatica, «che alcune di queste abitazioni sono persino disabitate. Qualcuno appende qualche panno ai balconi per fingere che ci sia qualcuno, ma le case sono vuote». Per Filomena, ora, la vita si fa sempre più dura. I figli sono lontani. Fanno quello che possono. Intanto, però, tutte le altre famiglie risultate idonee per avere la casa dalla Protezione civile, pur avendo avuto l’ultimatum a lasciare la caserma, sono state fatte alloggiare in alberghi in attesa della consegna degli alloggi.

Solo per lei e per le persone che vivono una situazione simile non è stato previsto nessun alloggio provvisorio. Stasera, per Filomena, sarà la prima notte “fuorilegge”. «Dormirò lo stesso in caserma. Rischio che mi portano via. Ma che posso fare?». Sulla nota del vicecommissario vicario per la Ricostruzione è scritto che “la signora è diffidata dal lasciare entro 24 ore dalla notifica del presente atto la caserma. In difetto si provvederà a esecuzione forzata”. Il foglio è redatto dall’Area assistenza alla popolazione. Oltre al danno, la beffa di un’amarissima ironia della sorte.

Filomena Boccia invita coloro che hanno ricevuto analoga lettera di sfratto a mettersi in contatto con lei per organizzarsi. Il suo n. di telefono è 347.0948369. L'unione fa la forza!

giovedì 4 febbraio 2010

Comunicato della rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro


NON SIAMO I SOLI, NON SIAMO SOLI


Forse ce la faranno ad avere giustizia i famigliari degli 11 giovani assassinati dal crollo della Casa dello studente e del Convitto nazionale, per i quali la procura potrebbe fissare le prime udienze preliminari entro l’estate per scongiurare i rischi del processo breve almeno per questi 2 procedimenti.
Ma all’Aquila sono morte 308 vittime innocenti!
Come a S. Giuliano di Puglia, così a L’Aquila, Messina, Haiti: “non sono le calamità naturali a uccidere, ma la mano dell’uomo”. La stessa mano padronale che ha ucciso a Viareggio, che ha fatto migliaia di vittime con l’eternit, che miete 4 morti al giorno sui posti di lavoro. La mano rapace del sistema capitalistico, che legalmente o illegalmente mercifica tutto: la vita, la salute, la sicurezza, l’ambiente. E’ la mano famelica di questo sistema politico, che divora anche il dolore di chi resta per calcoli elettorali, utilizzando morti e macerie come palcoscenico del proprio potere, al di sopra di tutti oltre che delle sue stesse leggi. “Lasciatemelo dire, è andata bene. Il mattino del 6 aprile abbiamo pensato che i morti del terremoto potessero essere fra i 1500 e i 2000. Per fortuna invece, nonostante sia sempre doloroso, le vittime sono state 300”. Così Berlusconi si beffa di quel dolore, di quei morti, quando parla del terremoto dell’Aquila ed è lecito chiedersi il perché di tali aspettative da parte del premier e dei padroni che rappresenta.
Berlusconi sapeva, la protezione civile sapeva, la Regione sapeva, l’Adisu sapeva, anche la Prefettura sapeva e il Sindaco dell’Aquila, con l’intera Commissione Grandi Rischi.
Quella commissione, che avrebbe dovuto approntare un piano di evacuazione e mettere in allerta i cittadini, ha almeno 308 vittime innocenti sulla coscienza!
Sappiamo che anche senza processo breve, i principali responsabili di queste morti annunciate sono già intoccabili, perché collusi con le istituzioni e il malaffare, perché è un intero sistema politico-affaristico da mettere alla sbarra, un intero sistema economico e sociale da processare. Ma non ci stancheremo mai di stendere le dita verso il cielo, non ci stancheremo mai di cercare verità e giustizia.
Vogliamo giustizia e verità per tutti i morti sul lavoro, per i ragazzi uccisi dall’insicurezza delle scuole e delle case, per tutte le vittime dei disastri e devastazioni ambientali, per tutte le vittime di calamità naturali, sempre più prevedibili e prevenibili e sempre più padronali, frutto della mancanza di sicurezza a beneficio del profitto, del malaffare, del potere politico.

Sono tutte morti annunciate ed esigono giustizia!

Perché quello che è accaduto all’Aquila non sia per sempre il destino dell’Italia

Come rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro confermiamo la nostra solidarietà ai terremotati d’Abruzzo e ci stringiamo attorno ai famigliari delle vittime del sisma, ai genitori dei giovani studenti uccisi. La loro lotta è la nostra lotta, perché il diritto alla sicurezza, alla vita è un diritto di tutti e non privilegio dei potenti.

Non siamo i soli e non siamo soli, uniti saremo più forti!

rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro
per contatti:
bastamortesullavoro@gmail.com

martedì 26 gennaio 2010

Calamità padronali

CALAMITA’ PADRONALI

l’Aquila, Messina, Haiti, Cile: “non sono le calamità naturali a uccidere”, confessano i media padronali, “ma la mano dell’uomo”. E con questa approssimazione dovremmo abituarci ad accettare gli orrori del sistema capitalistico come ineluttabili, come facessero parte della natura umana, come se fosse la natura a governare il sistema e non il contrario. Le vittime diventano colpevoli e complici al tempo stesso, da reprimere se si autorganizzano per far fronte in maniera autonoma a eventi disastrosi e delittuosi come queste calamità, che sono sempre meno naturali e sempre più padronali.

E’ una città di cartapesta, che è andata tutta distrutta… Così si sbriciolano i palazzi dei poveri, dove è normale mettere una buona percentuale di sabbia nel cemento per risparmiare…Non sapremo mai quanta gente ha perso la vita in quelle baracche”. Così scrive Repubblica sul terremoto di Haiti. “Lasciatemelo dire, è andata bene. Il mattino del 6 aprile abbiamo pensato che i morti del terremoto potessero essere fra i 1500 e i 2000. Per fortuna invece, nonostante sia sempre doloroso, le vittime sono state 300”. Così parla Berlusconi a proposito del terremoto dell’Aquila, dove è lecito chiedersi il perché di tali aspettative da parte del premier e dei padroni che rappresenta.
Berlusconi sapeva, la protezione civile sapeva, la Regione sapeva, l’Adisu sapeva, anche la procura sapeva e il sindaco dell’Aquila, che presenziò alla riunione della Commissione Grandi Rischi del 31 marzo insieme a membri della protezione civile nazionale e locale, funzionari della Regione ecc. Quella commissione avrebbe dovuto approntare un immediato piano di evacuazione e mettere in allarme i cittadini invece di rassicurare, per bocca del prefetto, la popolazione che chiedeva sicurezza e denunciare il tecnico Giuliani per procurato allarme.
Ora il tecnico Giuliani è stato assolto, le sue indagini su una correlazione diretta tra accumulo di radon e terremoti ritenute attendibili. I cittadini e i famigliari delle vittime hanno denunciato la Commissione Grandi Rischi per mancato allarme, omicidio colposo plurimo e lesioni gravi.
Le inchieste sui crolli coinvolgono, naturalmente, anche progettisti e costruttori, molti dei quali ormai deceduti e i famigliari delle vittime dovranno accontentarsi di qualche capro espiatorio ancora in vita, perché è un intero sistema politico-affaristico da mettere alla sbarra, un intero sistema economico da processare. E un processo del genere non può avvenire attraverso la giustizia borghese, questa non può processare sé stessa. Le inchieste sul G8 e il business della ricostruzione all’Aquila, hanno soltanto mostrato una piccola crepa di questo sistema, quella “gelatinosa”, come la definiscono gli inquirenti.
Una rete di “rapporti corruttivi stabili” che si dirama tra massimi funzionari dello Stato, da Bertolaso a Balducci, gentiluomo di Sua Santità, a De Santis ecc., politici rampanti, iene “ridens” di ogni sorta, imprese con enormi poteri finanziari e criminali, fino a raggiungere la magistratura, fino alla Corte dei Conti. Un “cartello” degli appalti, una macina di soldi pubblici che conterebbe anche su appoggi all’interno della Guardia di Finanza e dei servizi segreti.
Questo è il vero volto di un sistema capitalistico che in nome del profitto agisce con ogni mezzo, “legale” o “illegale” che sia. Un sistema che mercifica tutto: la vita, la salute, la sicurezza, l’ambiente, la cultura.
Il recente tentativo di conversione della protezione civile italiana in s.p.a. è la normazione, emblematica, di quest’aberrazione. Ora chi ha preso denaro pubblico per costruire opere insicure, chi ha taciuto affinchè crollassero, senza farsi scrupolo delle possibili vittime, gode di promozioni e riconoscimenti e continua a prendere soldi pubblici per ricostruire. Il profitto, il business della ricostruzione è sempre stato il movente della guerra dei padroni. I mass-media parlano ancora di calamità naturali, ma si tratta di “terremoti di classe”, di calamità (alluvioni, terremoti ecc.) che provocano tanti più danni quanto maggiore è la povertà, lo sfruttamento degli uomini e dell’ambiente e la speculazione edilizia. La sicurezza si paga in soldoni, i poveri la pagano con la vita.
Questo è successo ad Haiti, a Messina e all’Aquila, dove chi voleva lasciare la casa dello studente perché fatiscente, non l’ha fatto per non perdere la borsa di studio, dove abbiamo visto gli aiuti trasformarsi in businnes e corruzione sulla pelle di terremotati sempre più poveri, i soccorsi in stato di assedio e di polizia, le tendopoli in lager, l'emergenza in dittatura e profitto per i padroni.
Parlano demagogicamente di sicurezza per scatenare la rabbia dei proletari italiani contro gli immigrati, del progetto C.A.S.E. come un vero miracolo della banda Berlusconi-Bertolaso, del modello “L’Aquila”, della protezione civile italiana come esempio per tutto il mondo.

Ma quale sicurezza? Ma quali miracoli berlusconiani?

Alla casa dello studente mancava un pilastro, mancavano le staffe, il calcestruzzo era di cattiva qualità, le colonne erano intrise di umidità, c’era un piano seminterrato abusivo, sull’ala distrutta gravava il peso di travi e pannelli solari che ne metteva a rischio la stabilità, non c’era una scala di emergenza e quella che c’era non era ben ancorata al resto dell’edificio ed è crollata, le crepe segnalate più volte dai ragazzi venivano ogni anno rattoppate senza alcun controllo di stabilità. Nessun adeguamento al rischio sismico, neanche durante la ristrutturazione, è stato eseguito, nonostante si sapesse che quell’edificio non era a norma, che quell’edificio sarebbe comunque crollato anche senza un terremoto. Il vero miracolo è che quell’edificio abbia retto fino al 6 aprile 2009!
Il progetto C.A.S.E., fiore all’occhiello dei padroni assoluti, dell’auto-premiata ditta Berlusconi & Bertolaso fa già acqua da tutte le parti: ci piove dentro, le tubature col gelo si spaccano e mancano le fogne, i liquami vengono riversati direttamente nei fiumi, fughe di gas e vie di ingresso sbarrate dal fango, bulloni, pensiline e altri componenti metallici spazzati via dal vento. Il vero miracolo è stato far arrivare un’ambulanza alla piastra 9 di Pagliare di Sassa! Il vero miracolo, per i fortunati che risiedono in quelle case, è trovare un tecnico del progetto C.A.S.E. che dalla Lombardia venga all’Aquila per risorvergli un problema!
Il vero miracolo è che il terremoto è avvenuto di notte e prima di pasqua, dopo essersi fatto sentire per 4 mesi, altrimenti avrebbe fatto molte più vittime tra studenti, impiegati e lavoratori pendolari!
Il vero miracolo è spiegare come è possibile che l’ospedale, la prefettura, i centri nevralgici della gestione dell’emergenza in un territorio ad alto rischio sismico siano potuti crollare!
Il vero miracolo sono i lavoratori immigrati che lavorano al progetto C.A.S.E.: sono ancora vivi, nonostante siano costretti a vivere in condizioni disumane, precarie e di supersfruttamento! Sono le lavoratrici che puliscono quelle C.A.S.E., lavorando 11-12 ore di seguito (a volte dalle 7 del mattino fino alle 2 di notte) senza acqua né luce per 5 euro l’ora!
Sono gli sfollati, il 70% dei quali non è stato beneficiato dal progetto C.A.S.E. e vive ora decimato tra gli alberghi (pagati profumatamente con soldi pubblici fino a luglio 2010), abitazioni dentro e fuori regione messe a disposizione da parenti o amici o nelle proprie case inagibili, mettendo a repentaglio la propria sicurezza perché non hanno i soldi per riparare le proprie case o per pagare un affitto. Sono, non dimentichiamolo, gli oltre 16.000 terremotati senza un lavoro, i 4.500 cassaintegrati dell’industria, gli 8.000 precari senza sussidio.
Il vero miracolo sono gli studenti invisibili dell’Università dell’Aquila, che continuano ad essere tali anche dopo il terremoto. “In 20.000 si sono iscritti quest’anno” dichiara il rettore, ma dove sono?
Sarebbe un miracolo spiegarlo, pochi avranno la “fortuna” di alloggiare nella nuova casa dello studente, costruita con soldi pubblici ma di proprietà della curia, come la nuova residenza del vescovo! Gli altri non sanno dove alloggiare, sperduti nei paesini a fare i pendolari o a casa propria i fuori sede.
Il vero miracolo è che questi studenti riescano ancora a studiare con profitto in queste condizioni!
Ma si sa, i miracoli li fa solo Dio e i suoi ministri e il neoministro in pectore Guido Bertolaso ha voluto sostenere i poveri e le donne di questa città, regalandone un altro bel pezzo alla curia per una nobile causa: costruirvi, sempre con denaro pubblico, il nuovo complesso religioso del frati minori con tanto di mensa dei poveri, convento, chiesa e alloggi per madri in difficoltà, tutti ovviamente a gestione ecclesiastica. Ma bisognava pur rimpinguare le povere casse del Vaticano! Altro che laicità, altro che mense popolari e case delle donne o dello studente, altro che beni comuni, altro che sicurezza, altro che miracolo italiano! A noi “comuni mortali”, di comune e di sicuro spetta solo la mortalità e la precarietà.

A padroni, mafiosi e vaticano vanno affari di miliardi del miracolo italiano!