"chi fa da sé fa per 3"

Questo blog è nato come un blog di controinformazione dopo il sisma del 6 aprile 2009. Ora che i riflettori su L'Aquila si sono spenti e l'unico terremoto che investe la città è quello della crisi generata da questo sistema capitalistico che deve essere rovesciato, esso rimane in vita per dare voce ai senza voce, a coloro che, pur vivendo e lottando in questa città, non trovano spazio nei media, anche se si definiscono "liberi e indipendenti"

venerdì 19 marzo 2010

Dall'Aquila a Joy, Hellen, a tutte le donne in lotta


L’Aquila, venerdì 19 marzo

All’Aquila ieri sono tornati i militari in forze per liberare la città dalle macerie, dicono. Per liberare la città dalle carriole, diciamo noi e dal dissenso. Tutto deve essere apparentemente perfetto ed efficiente per le elezioni, anche la demagogia di uno Stato clerico-fascista e medioevale, che si prepara ad essere di nuovo legittimato dal gioco elettorale e benedetto dall’ipocrisia clericale.

All’Aquila qualcosa oggi ha tentato di rompere questa ipocrisia, questo gioco truccato.

Sullo sfondo di un tendone con su scritto “Riprendiamoci la città”, contro le porpore dei prelati, gli alti gradi dei militari, le facce toste di Sindaco, Presidente della Regione e autorità varie accorse a celebrare il proprio successo sulle macerie inaugurando la chiesa delle anime sante (ristrutturata solo in parte con i soldi degli USA), un cartello ben visibile è stato apposto, in alto, sul lampione più vicino alla passerella di politici e curia. Diceva: “512milioni di euro per il G8, 2.700 euro/m² per le C.A.S.E., per gli esclusi dalle C.A.S.E. niente case, solo macerie”.

Sul piedistallo di quel lampione sono salita con un altro cartello per Joy, Hellen, tutte le donne che lottano contro il marciume e la violenza di questo barbaro sistema capitalistico. Su quel cartello c’era e c’è scritto, nonostante lo “strappo”: “LA POLIZIA LE STUPRA NEI CIE + I NOSTRI MILITARI IN SOMALIA + I PADRONI RIDENS LE VENDONO AI FUNZIONARI DELLO STATO E AI GENTILUOMINI DI SUA SANTITA’ = STATO E VATICANO MAGNACCIA E STUPRATORI. m.f.p.r. = solidarietà a Joy, Hellen e tutte le donne in lotta”

La Digos mi ha fatto le lastre: i maschi quasi mi facevano la colposcopia, ostentando il fatto che si stavano appuntando tutto di me, non mi sganciavano gli occhi di dosso. Le digossine invece sono salite sul piedistallo, davanti a me, per cercare di nascondere i cartelli e quando un alto prelato li ha notati, una di loro ha cercato di spingermi via a culate ma non ce l’ha fatta. Il suo collega, dopo avere strappato il cartello attaccato al lampione ha iniziato a strapparmi dalle mani quello per Joy ed Hellen. Io mi sono messa a gridare, ho urlato a tutti i presenti di guardare bene qual’è la loro democrazia e il digossino ha dovuto restarsene buono. Un signore anziano e la sua compagna, che prima avevano apprezzato il cartello, mi hanno aiutata a riattaccarlo.

Sono rimasta in presidio per 2 ore

e ho sentito il calore di chi non avevo mai visto prima, di chi non avevo mai visto neanche a un’assemblea, quello dei vigili del fuoco, quello di donne e uomini non abituati alla piazza. Eppure questi uomini e queste donne mi hanno aiutata. In silenzio, da loro mi sono sentita protetta e le/li ringrazio per questa preziosa solidarietà

Luigia

Da Taranto alle donne dell'Aquila

UNA IMPORTANTE, ENTUSIASMANTE, ALLEGRA DUE GIORNI.

La due giorni "Bagagli per un viaggio delle donne in lotta" organizzata a Taranto il 13/14 marzo dalle compagne del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario, si è svolta in un clima bello, reso caldo dallo spirito combattivo, dal piacere di trovarsi, socializzare, conoscersi di compagne, disoccupate, lavoratrici che fino al giorno prima erano state impegnate in lotte, e, per alcune realtà, in manifestazioni nell'8 marzo; anche durante il convegno sono arrivate le notizie e i saluti di lavoratrici, precarie in lotta nella stessa giornata del 13, come da Palermo,dove il giorno prima vi erano state le cariche della polizia e da dove le compagne che hanno partecipato alla due giorni hanno portato uno striscione delle precarie in regalo alle disoccupate di Taranto. Nel primo giorno si sono socializzate le lotte di questi mesi, dal nord al sud, in cui si uniscono gli attacchi concreti al lavoro e alle nostre vite agli attacchi alla nostra condizione generale di donne. Per questo le proletarie nell'assemblea hanno rilanciato la sfida: PREPARIAMO NEI PROSSIMI MESI LO SCIOPERO TOTALE DELLE DONNE che intrecci la battaglia per il lavoro alla lotta contro la doppia oppressione. Non a caso, lo striscione che le disoccupate di Taranto avevano messo nella sala, riprendeva un vecchio ma quanto mai valido slogan del movimento femminista: "tremate, tremate, le streghe son tornate"! E' quindi stato deciso di collegarsi con le realtà di lotta più significative delle donne, anche con incontri diretti, per lavorare insieme per lo sciopero. Nell'assemblea si è parlato anche delle altre lotte delle donne. In particolare è stata raccontata la battaglia delle donne a L'Aquila dall'inizio del terremoto a questi giorni contro gli sciacalli ridens; è stato denunciato perchè le new town di Berlusconi in particolare per le donne significano isolamento, "insonorizzazione", soffocamento scientifico della necessità di socializzazione. Nell'assemblea le lavoratrici, le disoccupate hanno detto che andremo a L'Aquila a incontrare queste donne per dare e ricevere forza. E' stata portata nell'assemblea la rivolta delle immigrate e la battaglia in corso per Joy e contro la polizia che stupra; e si è preso l'impegno a sostenere le lotte in corso per la libertà dai campi di concentramento dei CIE e il permesso di soggiorno alle sorelle immigrate; ma anche a sostenere dalle altre realtà l'iniziativa delle compagne di Milano perchè l'ispettore di polizia che ha tentato di stuprare Joy venga processato e condannato. Su tutto questo, nell'assemblea sono stati fatti messaggi alle lavoratrici, disoccupate, alle donne de L'Aquila, alle immigrate. Ma soprattutto da vari interventi è stata denunciato con forza il salto di qualità in basso, pratico, politico, ideologico, culturale, che viene portato avanti sull'intera condizione delle donne: dalla sacra famiglia, all'espandersi del maschilismo, ai messaggi subliminali e marci del mondo mass mediatico, con in testa l'uso schifoso dei corpi femminili da Berlusconi ai Vescovi, ecc. - e che questa condizione è una cartina di tornasole del moderno medioevo a cui si vuole portare l'intera società. Ma le donne, soprattutto le proletarie che ogni giorno lottano, non stanno a lamentarsi: come stava scritto in altri striscioni nella sala: "abbiamo deciso di alzare la testa!", "tutta la vita deve cambiare!". Per questo la conclusione della prima giornata dell'assemblea è stata la visione di un bel e entusiasmante video che mostra, con immagini, musiche, il percorso già in atto della lotta generale femminista, proletaria, rivoluzionaria delle donne, nel nostro paese come a livello internazionale. Un percorso che unisce la ribellione della maggioranza delle donne, alla distinzione di classe perchè le donne in questa società non sono tutte uguali, alla battaglia rivoluzionaria per rompere le doppie catene, alla ripresa storica delle tappe più importanti della doppia lotta per le donne per una società socialista in cui le donne abbiano un ruolo di direzione perchè la rivoluzione vada a fondo non si fermi a metà strada, una rivoluzione nella rivoluzione che trasformi il cielo e la terra fino al comunismo. Al video è seguito un allegro buffet, in cui ogni disoccupata ha portato qualcosa da mangiare e bere. IL VIDEO SARA' AL PIU' PRESTO MESSO A DISPOSIZIONE DI TUTTE LE DONNE CHE CE LO CHIEDONO. E' questa determinazione, questo entusiasmo, che le compagne, le lavoratrici, le disoccupate, precarie porteranno alla Conferenza Mondiale in Venezuela del 2011 - per cui già nell'assemblea si è cominciato a vedere il modo pratico di andare, e di fare una campagna anche per raccogliere fondi. Nel secondo giorno questo percorso femminista proletario rivoluzionario ha visto un approfondimento, anche teorico, attraverso il lavoro su materiali, testi, per lo sviluppo con nuove elaborazioni in stretto rapporto con la pratica, del nuovo pensiero e nuova prassi del movimento delle donne, che le compagne del MFPR hanno avviato dal 1995, in rapporto anche con le elaborazioni più avanzate a livello internazionale. E' stato prodotto un PRIMO DOCUMENTO (in itinere): "APPUNTI PER UN NUOVO PENSIERO E PRASSI FEMMINISTA PROLETARIA RIVOLUZIONARIA". Siamo tornate poi sull'appuntamento del Venezuela, per approfondirne i temi, in termini propositivi ma anche critici - perchè per noi anche questo appuntamento va costruito unendo teoria e pratica, i documenti/incontri alla pratica continua di lotta delle donne, distinguendo ciò che è l'agire rivoluzionario del movimento delle donne, dal parlare di rivoluzione/socialismo ma praticare le vuote parole e la piena socialdemocrazia. SU QUESTO PERCORSO IL SECONDO GIORNO SI E' CONCLUSO CON UN NUOVO, PIÙ LUNGO, APPUNTAMENTO PER QUEST'ESTATE. Stiamo preparando un dossier con gli interventi e i materiali più significativi della due giorni, che metteremo a disposizione. Per richiederlo: e mail mfpr@fastwebnet.it - 3475301704 (Margherita) 3408429376 (Donatella). Chiaramente sia messaggi che dossier che foto li metteremo appena pronti sul blog: http.//femminismorivoluzionario.blogspot.com/ Compagne, in particolare da Roma, da Bologna, da Milano e alcune realtà di lavoratrici in lotta, pur non potendo venire hanno mandato saluti e messaggi, noi le ringraziamo molto e i loro saluti sono stati letti e accolti con calore dall'assemblea.

L'ASSEMBLEA DELLA DUE GIORNI
"BAGAGLI PER UN VIAGGIO DELLE DONNE IN LOTTA".

Taranto, 13/14 marzo 2010

lunedì 15 marzo 2010

Sfollata aquilana occupa la sede della Protezione civile di Giulianova

da Il centro, di Sandro Petrongolo

Pendolare da mesi, non ce la fa più Docente aquilana occupa la sede della Protezione civile di Giulianova

GIULIANOVA. Occupa simbolicamente la Protezione Civile per manifestare il proprio disagio che ormai dura da undici mesi: è il gesto disperato di S.E.G., 54 anni, sfollata, docente universitaria aquilana, che tre giorni fa ha deciso di stabilirsi nella sede della Protezione Civile di Giulianova per reclamare un alloggio, atteso da dicembre, che le permetta di continuare a lavorare senza estenuanti viaggi, senza cambiare sei autobus ogni giorno e senza vivere da pendolare l’intera giornata. La donna, che insegna nella facoltà di Lettere della città devastatata dal sisma, non ce la fa più. Chiede una sistemazione stabile, a distanza di quasi 12 mesi dal terremoto del 6 aprile 2009: la sua abitazione, situata nella “zona rossa”, è classificata “E”, quindi totalmente inagile.
Ogni giorno, l’insegnante sfollata per poter raggiungere il posto di lavoro deve dover cambiare fino a sei autobus.
Ogni giorno, per raggiungere Bazzano, dove ha sede la facoltà, e guadagnarsi lo stipendio, S.E.G. vive il suo piccolo estenuante calvario fatto di pranzi frugali, panini, cappuccini e attese alla fermata del bus. Una situazione peggiorata dall’incertezza e dalla mancanza di prospettive, dopo mesi di pellegrinaggio non solo lungo la costa abruzzese: la professoressa di lingue, in seguito al terremoto, è stata ospitata per quattro mesi in un albergo di Vasto. Poi ha trovato una sistemazione autonoma a Penne, per finire, da ottobre, in un hotel di Tortoreto. E lì è rimasta. A ciò si aggiunge la fatica quotidiana per recarsi a lavoro: per essere presente alle 14 nell’università, la donna, sprovvista di patente di guida, deve prendere un primo autobus per Giulianova; da qui uno che la porti a Teramo, poi un altro per giungere all’A quila, nei pressi della fontana luminosa, quindi un bus che la porti al terminal, e da qui un ulteriore mezzo per arrivare, finalmente, a Bazzano. La stessa odissea si ripete la sera, per tornare a casa alle 21.30, da dove l’insegnante si allontana alle 10.30 del mattino. La sfollata ora se la prende con la Protezione Civile. A dicembre le era stato promesso che entro il primo gennaio sarebbe tornata all’Aquila, ma la scadenza è slittata la prima volta all’inizio di febbraio. E poi è slittata ancora perché la donna è single, e quindi non rientrante nel progetto «Case». Così le viene offerto un posto in un albergo di San Demetrio oppure in un hotel a 45 minuti di distanza (per lei che va a piedi) dal terminal autobus. La docente sfollata però non se la sente più di affrontare altre fatiche, così decide di occupare la sede della protezione civile di Giulianova. E la sua diventa una storia simbolo per tanti sfollati.

giovedì 4 marzo 2010

Bertolaso - L'uomo dell'Opus Dei

da www.lavocedellevoci.it

di Rita Pennarola

Dietro fatti, misfatti e protagonisti del grande affare emergenza, dalla Maddalena all'Aquila, passando per i Mondiali di nuoto e i rifiuti di Napoli, spuntano retroscena che riportano immancabilmente dentro le austere stanze dell'Opus Dei. A cominciare proprio dallo stesso sottosegretario, fino ai Gentiluomini di Sua Santita' Gianni Letta ed Angelo Balducci. In esclusiva, ecco tutti i nomi.

Bertolaso, la mano de Dios. Parafrasando il celebre film su Maradona, raccontiamo qui le potenti protezioni di un uomo che davvero - e non per meriti sportivi - si muove da sempre a un passo da Dio. Anzi, a un passo dall'Opus Dei, stella polare della folgorante carriera di Guido Bertolaso, quell'altisonante dietro le quinte finora trapelato solo di striscio ma che adesso, alla luce dell'inchiesta giudiziaria di Firenze, la Voce porta sotto i riflettori in tutta la sua manifesta influenza. Si', perche' la maggior parte dei protagonisti del gigantesco, illecito meccanismo descritto dal gip fiorentino Rosario Lupo nelle 126 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare, ci riportano immancabilmente oltre Tevere e, in particolare, dentro gli austeri palazzi dei Parioli dove ha sede la piu' settaria delle consorterie religiose cattoliche: la Prelatura dell'Opus Dei.
Passiamo ora in rassegna, uno ad uno, i personaggi in odor di Opus coinvolti nell'inchiesta fiorentina ed alcuni fra i loro “santi protettori” che rivestono funzioni di governo del Paese.

BERTOLASO - Partiamo proprio da lui, il super sottosegretario alla Protezione civile e capo dell'omonimo Dipartimento. Un decisionista spinto, l'uomo del comando nelle cui mani il premier Silvio Berlusconi aveva affidato la summa dei poteri per opere da miliardi di euro destinate a trasformare il volto del Paese. E senza alcun controllo.
Capace, navigato quanto basta lungo missioni all'estero ultradecennali, Guido Bertolaso fin dagli esordi della sua carriera ha potuto pero' contare su una credenziale di tutto riguardo: quello stretto collegamento con la corazzata della fede fondata da san Josemaria Escriva' de Balaguer che ogni porta sa aprire e, soprattutto, garantisce sulla assoluta “affidabilita'” dei suoi uomini rispetto alle linee prefissate. Quasi sempre altrove.
L'avvicinamento del giovane Guido all'Ovra - contrariamente a quanto vuole la leggenda - non comincia con la “chiamata” al fianco di Giulio Andreotti negli anni ‘80, bensi' assai prima. Basta considerare le origini familiari del brillante ed ambizioso medico, che sono ancora oggi profondamente radicate in quell'area del Veneto bianco a cavallo fra le province di Verona e di Vicenza. Ed e' nel veronese, precisamente a Cazzano di Tramigna, 1400 anime o poco piu', che nel dopoguerra i Bertolaso sono gia' una famiglia importante. Arrivati a inizio secolo nella zona dei mulini per impiantare un pastificio, i nonni dell'attuale sottosegretario allevano quattro figli maschi: il primogenito, Giorgio (padre del sottosegretario), che diventera' generale dell'aeronautica; Francesco, che sara' sindaco del piccolo comune negli anni sessanta, e poi Luciano e Stanislao, entrambi ricordati in paese per i brillanti risultati conseguiti nel ciclismo. Mentre il ramo che fa capo a Giorgio (scomparso novantenne lo scorso anno) si era trasferito ben presto a Roma, in Veneto restava l'altro, importante nucleo della dinasty: quello che ha dato i natali a due attuali membri dell'Opus Dei, entrambi assurti a cariche ufficiali di tutto rilievo.
La prima e' Marta Bertolaso, giovane e gia' nota biologa, attualmente ricercatore al Campus Biomedico di Roma (universita'-colosso dell'Opus in Italia), nonche' presso la Fondazione Rui (altra costola dai fatturati miliardari) ma, soprattutto, nominata fin dal ‘99 membro del Consiglio della Delegazione italiana dell'Opus Dei con decreto del Prelato. Nel 2002 tocca ad Emanuele Bertolaso, trasferitosi a Vienna, che ad ottobre viene investito della carica di membro del Consiglio regionale per l'Austria.
Lo stesso Guido Bertolaso, del resto, non ha mai mancato di far sentire, sia pure in forma discreta e senza troppa pubblicita', la sua presenza al fianco dell'Ovra. Il 25 luglio dello scorso anno apre ufficialmente i lavori della Summer School organizzata a L'Aquila dalla Fondazione Rui, cui prendono parte fra gli altri Claudio Sartea e Juan Andre's Mercado della Pontificia Universita' della Santa Croce ed il banchiere Ettore Gotti Tedeschi. A novembre lo troviamo in veste di guest star, sempre alla Fondazione Rui, per spiegare agli allievi dell'esclusiva residenza romana (con diramazioni fra le e'lites studentesche di tutto il mondo) «il segreto del suo impegno professionale in seno alla Protezione civile».

BERLUSCONI - Ora che il rapporto fra il sottosegretario e l'Opus assume contorni piu' definiti, passiamo agli altri “religiosissimi” gran registi degli accordi sulle maxi opere emergenziali finite all'attenzione di ben tre Procure (oltre a Firenze, indagano infatti anche Roma e Perugia).
A cominciare, naturalmente, dal premier Silvio Berlusconi. Il quale delle sue frequentazioni ai collegi dell'Opus fin dalla “tenera” eta' non ha mai fatto mistero. Fu proprio alla Residenza Torrescalla, sede milanese delle Fondazioni Rui, che nacque il sodalizio di ferro con Marcello Dell'Utri e con un altro supremo vertice dell'Opus, quel reverendissimo padre Mariano Fazio che dal 2002 e' rettore magnifico della Pontificia Universita' della Santa Croce. Non meno noto e' poi il legame fra Berlusconi e don Luigi Verze', padre padrone di un'altra corazzata sanitaria in odor di santita' capace ogni anno di fabbricare euro a miliardi, il network delle case di cura private San Raffaele. Se pur dal punto di vista amministrativo disgiunte dal giro d'affari opusdeista, le cliniche San Raffaele e la annessa universita' si valgono di una collaborazione costante con sigle di primo piano dell'apparato di San Josemaria, come dimostra, per fare solo un esempio, l'assidua presenza al San Raffaele di una professoressa come la numeraria (e deputata del Pd, ora Udc) Paola Binetti, docente al Campus Biomedico.

LETTA - E non e' affatto un caso che quella mattina dell'11 marzo 2008. in occasione dell'inaugurazione della nuova sede dell'Universita' Campus Biomedico di Trigoria, alle porte di Roma, si fossero ritrovati insieme il Prelato dell'Opus Dei Javier Echevarría, il segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone, l'allora presidente della Regione, il “pio” Piero Marrazzo, e Gianni Letta, quest'ultimo giunto alla cerimonia non solo per i suoi incarichi istituzionali nell'esecutivo Berlusconi. Letta infatti siede nell'advisory board del Campus, insieme al portavoce ufficiale dell'Opus Joaquín Navarro-Valls e a mister Banca di Roma Pellegrino Capaldo. E' lui, Letta, che chiama a se' Bertolaso dopo la formazione politica sul campo che il giovane medico aveva maturato alla scuola di Giulio Andreotti (altro devoto - e conclamato - militante dell'Opus Dei).
Ne' si tratta di frequentazioni di poco conto. Basti considerare che Letta - fra i primi a difendere a spada tratta Bertolaso dopo il turbine giudiziario di meta' febbraio - e' oggi nel ristretto novero dei Gentiluomini di Sua Santita', costola laica del ristretto entourage papale in Vaticano. La sua investitura era stata voluta nel 2007 dallo stesso Benedetto XVI insieme, fra le altre, a quella di Leopoldo Torlonia, presidente dell'ancor piu' aristocratico Circolo San Pietro. Assistente ecclesiastico del Circolo (vale a dire la massima autorita' religiosa prevista dall'organigramma) e' poi l' “Ill.mo e Rev.mo Mons. Franco Camaldo”, uomo da sempre vicinissimo a Joseph Ratzinger.
Il nome di monsignor Camaldo era rimbalzato nell'ambito dell'inchiesta condotta dal pm di Potenza John Woodcock su traffici internazionali di matrice massonica che aveva coinvolto, fra gli altri, Vittorio Emanuele di Savoia. La vicenda - che in qualche modo, come vedremo, ci riporta all'inchiesta fiorentina sul G8 - e' stata ricordata nel libro “Il caso Genchi”, Aliberti Editore, scritto dallo stesso Gioacchino Genchi con Edoardo Montolli. Il riferimento e' al procedimento disciplinare, conclusosi con un provvedimento di censura, condotto dal Csm a carico di Vincenzo Barbieri, attuale procuratore capo di Avezzano, negli anni in cui era direttore generale di via Arenula con guardasigilli Clemente Mastella. «Barbieri - scrive Genchi - e' stato tirato in ballo da Woodcock in una brutta storia di massoneria, l'ennesima, sospettato di favoreggiamento nei confronti di un alto prelato del Vaticano su cui a Potenza si indagava: monsingor Francesco Camaldo».
Tanto la posizione di Barbieri quanto quella di monsignor Camaldo sono poi state archiviate dal gip di Potenza. Ma restano le intercettazioni nelle quali Barbieri si confida a lungo con un amico: e' Achille Toro, lo stesso procuratore aggiunto di Roma indagato nell'ambito dell'inchiesta che ha travolto Bertolaso e per questo dimessosi, nelle scorse settimane, dalla magistratura.

BALDUCCI - La vicinanza alle alte sfere vaticane di Angelo Balducci, il presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici arrestato nell'ambito dell'inchiesta di Firenze, e' fuori discussione. Non altrettanto nota, forse, e' la rete di protezioni di cui ha potuto godere nelle altolocate gerarchie dell'Opus Dei. Se infatti, all'indomani della bufera giudiziaria, venne subito alla luce la presenza di Angelo Balducci - al pari di Gianni Letta - fra i Gentiluomini di Sua Santita', piu' in sordina arrivano invece le notizie sulla lunga collaborazione, avviata fin dai maxi appalti per il Giubileo del 2000, fra l'ingegner Balducci, Guido Bertolaso e l'allora presidente del comitato organizzatore dell'Anno santo, il cardinale Crescenzio Sepe. Prefetto della “Propaganda Fide”, di cui Balducci diventa “consultore”, Sepe e' fra i cardinali piu' vicini alla Prelatura. Tanto che le sue preghiere e meditazioni vengono regolarmente riportate nei siti ispirati all'opera di San Josemaria.

MASI - Capri non e' solo il nome della fiction Rai per casalinghe disperate piu' gettonata del momento, ma anche la location preferita dagli uomini della “cricca grandi lavori” passata ai raggi X dalla Procura di Firenze. A settembre 2008 «per il trasferimento di Angelo Balducci da Roma a Palermo con sosta a Capri» viene noleggiato «un idrovolante per due
persone al costo di 3.800 euro piu' iva». A pagare ci pensava naturalmente Diego Anemone, il trentanovenne costruttore romano che si era accaparrato la piu' grossa fetta degli appalti per i “grandi eventi”. Ovvio percio' che quando a giugno 2009 il professor Mauro Masi, direttore generale della tv di stato, telefona ad Anemone per sollecitargli l'assunzione presso il Salaria Sport Village del giovanotto anacaprese Anthony Smit, gia' concordata con Balducci, Diego Anemone scatti sugli attenti. Poche settimane dopo il ragazzo, fratello della fidanzata di Masi Susanna Smit, sara' assunto, con un paio di stipendi anticipati ed un appartamento in fitto nella capitale tutto per se'.
Ma anche dietro il coinvolgimento di Masi (che pero' non risulta indagato) nell'inchiesta fiorentina non poteva non spuntare lo zampino di mamma Opus. E' infatti di novembre 2009 la nomina a sorpresa, voluta dal dg Masi, del rampante trentaduenne sanremese Marco Simeon al vertice dell'ufficio relazioni istituzionali ed internazionali della Rai. Masi impone quella candidatura sfidando il voto contrario dei presidente Paolo Garimberti e di mezzo consiglio d'amministrazione.
L'enfant prodige Simeon proviene da quel fertile humus della Liguria che si nutre delle cure assidue di Claudio Scajola e del cardinale Angelo Bagnasco. Il giovane si schermisce e nega di far parte dei numerari o soprannumerari dell'Opus Dei (elenchi, peraltro, tuttora coperti da assoluto segreto), ma sono tante le circostanze che riconducono di prepotenza il suo nome alle stanze della Prelatura. Una su tutte: fin dal 2006 Marco Simeon, nemmeno trentenne, sedeva gia' ai vertici della Fondazione Carige (Cassa di Risparmio di Genova e Imperia), e non da solo. Perche' appena un gradino piu' sopra c'era anche Vincenzo Lorenzelli, docente di chimica nonche' magnifico rettore del Campus Biomedico dell'Opus Dei. Del resto, la Fondazione Rui da molti anni riceve regolarmente finanziamenti dalla Carige. E Lorenzelli a inizio 2010 spicca il volo - fra mille polemiche - anche in vetta al piu' importante presidio ospedaliero ligure, il Gaslini di Genova, del quale era stato nominato gia' nel 2005 commissario straordinario dal cardinale Tarcisio Bertone. Tutto in casa.
E che la longa manus dell'Ovra sia tutt'altro che estranea alle pedine da muovere sullo scacchiere della Rai non lo dimostra solo l'esempio Masi-Simeon. Se infatti a Viale Mazzini i seguaci del Santo possono contare su un direttore generale tanto religioso, a Napoli dormono sonni ancor piu' tranquilli. Almeno da quando - e sono ormai quasi dieci anni - al timone del TGR di Fuorigrotta siede Massimo Milone, altra personalita' da sempre vicinissima alla Curia locale, molto attento anche alle attivita' dell'IPE, l'istituto formativo per giovani e fanciulle di famiglie bene gestito dalla sede locale dell'Opus Dei. Fuori discussione, infine, il ruolo di Angela Buttiglione, direttore generale di Rai Corporation nonche' sorella di quel filosofo dell'Udc Rocco Buttiglione che all'Opus Dei e' a casa sua. Da sempre.

VOTO A PERDERE...

... SOLO LA LOTTA PAGA !

Dopo quasi 11 mesi di attese, illusioni, oscuramenti mediatici e strumentalizzazioni pre-elettorali, il 28 febbraio la coscienza dei cittadini aquilani si è risvegliata dal torpore. In migliaia si sono riversati nel centro storico per riconquistare il proprio diritto all’autodeterminazione, la dignità di un popolo ferito a morte non solo dal terremoto, ma dallo sciacallaggio che politici, affaristi, istituzioni e media hanno perpetrato di fatto ben prima del terremoto.
308 persone il 6 aprile hanno perso la vita mentre altri ridevano quella notte.
308 persone hanno perso la vita perché la sicurezza dei cittadini per la Commissione Grandi Rischi e per lo Stato sono “problemi di ordine pubblico”.
308 persone hanno perso la vita per malaffare.
Quel malaffare coperto e favorito per decenni da amministrazioni di destra e di sinistra, da chi, pur sapendo che l’Aquila era ad alto rischio sismico l’ha lasciata in zona sismica 2 per favorire la speculazione edilizia.
E’ questo sistema economico che mercifica tutto: la vita, la salute, la sicurezza, l’ambiente. Ora chi ha preso denaro pubblico per costruire opere insicure, chi ha taciuto affinché crollassero, gode di promozioni e riconoscimenti e continua a prendere soldi pubblici per ricostruire. Il profitto, il business della ricostruzione è sempre stato il movente della guerra dei padroni.
Le inchieste sul G8 e il business della ricostruzione all’Aquila, hanno soltanto mostrato una piccola crepa di questo sistema, un sistema politico-economico-affaristico sempre più lontano dai bisogni dei cittadini e dell’ecosistema che pretende governare.
512..474.000,00 € hanno pagato gli italiani per il vertice più folle, beffardo, inutile e costoso della storia recente e mentre gli amministratori locali “scodinzolavano” dietro a quel vertice, tutte le forze politiche e sindacali confederali lanciavano una campagna dissuasiva verso le mobilitazioni popolari per non disturbare il manovratore.
Ora questi politici devono assumersene le responsabilità. Il macabro teatrino, con gli 8 potenti della terra tra le macerie dell’Aquila non ha rilanciato l’economia della città, ma solo quella di politici e affaristi: lussi, sprechi e facce toste sul palcoscenico del dolore.
2.700 €/m² sono costate le C.A.S.E. per dare alloggio a 1/5 dei cittadini dell’intero comune dell’Aquila; 1.500 €/m² solo per le piastre antisismiche, mentre per la ricostruzione delle case vere neanche 1.000 €/ m² sono previsti e le amministrazioni locali continuano a difendere la logica commissariale della dittatura dell’emergenza, quella della politica dell’arraf-fare.
Nessuna ricostruzione, non una parola di sdegno verso il generale Bertolaso, né rispetto alle indagini in cui è coinvolto, né rispetto all’uso scriteriato e privatistico di denaro pubblico, come quello attuato nelle emergenze e nei cosiddetti grandi eventi.
Le istituzioni hanno dimostrato di non essere dalla parte dei cittadini e noi non ci fidiamo di queste amministrazioni, sempre più attente all’interesse dei privati, dei padroni, dei corrotti e sempre più lontane dalla loro base elettorale.
Il 28 febbraio abbiamo dimostrato che ricostruire dal basso si può, con l’autorganizzazione, con la NOSTRA “politica del fare”, con la partecipazione di tutti.
Organizziamoci per dimostrare, anche il 28 e il 29 marzo, che abbiamo braccia forti per strappare dalle mani di tutti i commissari il nostro futuro:

NIENTE FUTURO - NIENTE VOTO !
NON SIAMO CITTADINI PER UN SOLO GIORNO !

Organizziamoci per raccogliere e restituire i nostri certificati elettorali, quel che ci serve è lotta e protagonismo dal basso, non recitare da figuranti ad un gioco truccato!

Aquilani per una rete di soccorso popolare

per contatti: sommosprol@gmail.com – 345.7612872

mercoledì 3 marzo 2010

Il foglio di Proletari Comunisti del 6 marzo

Speciale AQ 6 marzo

L’Aquila, Haiti, Cile: catastrofi sociali

Eventi naturali, effetti sociali.

Il Cile è stato colpito ancora una volta da un terremoto di magnitudo apocalittica, come lo sono stati i terremoti del 1938, del 1960 e del 1985. Con una precisione svizzera, ogni 25 anni la catastrofe si ripresenta. Il terremoto del 27 Febbraio è stato uno dei più forti registrati nella storia: 8,8 Richter.
Il conto stimato dei morti varia tra i 500 e gli 800 e c’è chi dice che una cifra definitiva augurabile sarebbe intorno alle 2.000 vittime. Attualmente si stimano due milioni di persone senza casa, letteralmente in mezzo ad una strada. Città distrutte e due intere regioni (quelle di Maule e Bio-Bio) annichilite.
Così come per il terremoto ad Haiti, o per quello in Abruzzo, o ancora per l’uragano Katrina, che colpì nel 2005 la città di New Orléans, non ci troviamo solamente di fronte all’”incontenibile e disastrosa irruenza delle forze della natura”.
Nell’epoca contemporanea, con una popolazione metropolitana che a livello mondiale ha superato quella rurale, con megalopoli in cui sono ammassate milioni di persone, con quartieri dormitorio e bidonville, con un’organizzazione economica e sociale che determina ogni aspetto delle nostre vite - quindi anche i luoghi in cui abitiamo - niente può ormai accadere senza che vi abbia un ruolo fondamentale il modo in cui è organizzato ciò che è colpito.
Quando l’uragano Katrina si avvicinava alle coste della Louisiana, nella città di New Orléans erano rimasti solo coloro che non avevano un mezzo per scappare, tantomeno una stanza in un albergo a centinaia di km di distanza affittata per tutto l’anno proprio per queste evenienze, come molti cittadini ricchi o benestanti di quella città possono permettersi di avere.
Quando gli edifici e gli ospedali dell’Aquila crollano come castelli di carta anche perché edificati con la sabbia, si può davvero pensare che non vi siano delle responsabilità in chi quegli edifici li ha costruiti, pianificati, pensando alla speculazione e al profitto?
Quando un terremoto colpisce una città come Port-au-Prince, in cui l’80 % della popolazione è sotto gli indici della povertà estrema e l’indigenza porta migliaia di persone a vivere negli slums, nelle favelas, si può davvero pensare che i 200mila morti di Haiti siano da imputare a “cause naturali”?
Quelle che ci vengono descritte unicamente come “catastrofi naturali” non possono esserlo, quanto meno non principalmente, per la banale ragione che questi eventi intervengono in contesti specifici producendo effetti che hanno, in tutto e per tutto, una natura sociale.
Per questo parliamo di catastrofi sociali, proprio perché colpiscono un mondo che è già, in se stesso, una catastrofe, “perché non sono le case dei capitalisti quelle che si afflosciano e crollano, non sono le famiglie dei borghesi quelle che rimangono senza i rifornimenti di prima necessità e non sono nemmeno i nostri padroni quelli che rimangono isolati e senza possibilità di muoversi in città di merda dove il trasporto pubblico svolge una funzione disciplinante di mero trasporto di mercanzia umana” (1).
Per questo sosteniamo che l’urbanismo, l’economia, neppure in questi casi sono innocenti. Il capitalismo è la catastrofe. Il capitalismo è la barbarie.

Gestione dell’emergenza.

"Camionette, ruspe, case sventrate. Tendopoli. (…)
Sono riusciti ad ottenere solo ieri che quelli della protezione civile non potessero
piombargli nelle tende all’improvviso, anche nel cuore della notte, per controllare. (…)
Vietato internet nelle tendopoli. Vietato di distribuire volantini nei campi. (…) La città è completamente militarizzata (…), tutte le zone e i boschi sopra la città sono gremiti di militari. (…) Per entrare nelle tendopoli bisogna subire una serie di perquisizioni umilianti, un terzo grado sconcertante (…) Le tendopoli sono imbottite di droga. I militari hanno fatto entrare qualunque cosa, eroina, ecstasy, cannabis, tutto. E’ come se avessero voluto isolarli da tutto e da tutti (…) l’importante è che all’esterno non trapeli nulla."
(da “Ho visto l’Aquila”, Andrea Gattinoni) (2)

Nelle menzogne dei vertici militari cileni e della presidentessa Bachelet (che negavano il pericolo Tsunami proprio mentre questo arrivava già sulle coste) c’è la stessa volontà di infantilizzazione, di negazione di ogni iniziativa individuale che abbiamo visto nella gestione dei campi dell’Aquila.

Quando le regole civili e sociali saltano quello che lo Stato dimostra - sia mentre aiuta, sia mentre reprime – è la volontà di scongiurare l’organizzazione autonoma delle persone, anche quella più primitiva.


Un’ora dopo il terremoto la Radio Bio-Bio trasmetteva informazioni ufficiali dell’ONEMI (Ufficio Nazionale d’Emergenza) di questa natura: “Terremoto di 8,5 gradi, 95 chilometri a nordest di Concepcion. Si esclude ogni rischio di tsunami”
Alle sei del mattino (due ore dopo il sisma) lo tsunami colpiva le isole di Juan Fernandez.
La zona costiera nei pressi di Concepcion era travolta da onde tra i tre e i venti metri a pochi minuti dal sisma. Impossibile avvertire le coste in questo caso, doveroso invece sarebbe stato avvertire gli abitanti dell’isola di Juan Fernandez – che non potevano aver sentito il sisma - dell’arrivo di un onda di tre metri ma a 500 chilometri all’ora.
Mentre New Orleans era sommersa dall’acqua e dal fango, con centinaia di morti e una popolazione che aveva perso tutto, il governo sospendeva l’invio dei soccorsi per fermare i “saccheggi”, affidando subito dopo ai militari appena rientrati dall’Iraq la gestione dell’ordine pubblico: «Chi saccheggia i supermercati sarà giustiziato sul posto».
In questo momento in Cile, mentre salgono a 2 milioni gli sfollati, mentre chi ha perso tutto cerca di sopravvivere aprendo le porte di supermercati, farmacie, grandi magazzini e prendendosi ciò di cui ha bisogno, lo Stato risponde con le forze dell’ordine, con l’esercito, mandati ad impedire i saccheggi e difendere la proprietà privata; la democrazia progressista risponde con un coprifuoco che in alcune zone è arrivato a 18 ore sulle 24 giornaliere, col divieto di circolare per le strade a persone che non hanno più un altro posto in cui stare.
Precisamente come a New Orléans e a Port-au-Prince mentre dallo Stato tardano ad arrivare – o non arrivano affatto - gli aiuti, vengono mobilitati senza difficoltà migliaia di militari per rendere effettiva la legge marziale (decretata nelle due regioni cilene più colpite dal sisma). Mentre a Concepcìon (BioBio) non arriva l’acqua per le bocche assetate, nessun problema a riempire le cisterne per gli idranti dei tank antisommossa, usati contro i saccheggiatori
I detenuti (tra cui molti prigionieri mapuche) che hanno deciso di non restare a crepare nelle galere cilene che crollano su se stesse, sono ricercati e a volte giustiziati direttamente in strada. Centinaia sono gli evasi in seguito a rivolte, novanta i detenuti catturati in seguito alla fuga e quattro quelli morti negli scontri a fuoco mentre arrivano le notizie dei primi morti ammazzati per non aver rispettato il coprifuoco.
Anche questi sono gli aiuti umanitari del governo cileno.
La verità, lo ha dimostrato il governo italiano all’Aquila, quello statunitense a New Orléans, e l’ONU con l’operazione umanitaria ad Haiti, è che i soldati arrivano sempre prima di tutto, i manganelli e i mitra prima del pane e dell’acqua: l’ordine sociale e il suo mantenimento è sempre, per lo Stato, più importante della vita dei suoi sudditi.

Autorganizzazione e espropriazione.

Chiedo per cortesia ai media di non parlare più dei saccheggi, ne di riprenderli in diretta, perché quando ne parlano la gente segue l’esempio e va in cerca di luoghi da saccheggiare.

(Hols Paulmanm, multimiliardario, padrone di catene di supermercati cileni)

Gli aquilani che qualche giorno fa si sono decisi a violare la zona rossa per ripulirla dalle macerie, ci insegnano che la pazienza ha un limite.
I saccheggiatori cileni, andando a riprendersi direttamente ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere, rubando quelle merci che loro stessi, come proletari, hanno prodotto, ci dimostrano che il limite si può superare.
E questo limite si situa precisamente nell’inconciliabilità tra le necessità delle persone e le pretese dello Stato, che nella gestione dell’emergenza vede solo un’occasione per sperimentare nuove ed estreme tecniche di mantenimento dell’ordine e disciplinamento, nella ricostruzione solo nuovi profitti da spartire.
Mentre la disperazione cresce, mentre i padroni si organizzano per proteggere le loro proprietà private con ronde altrettante private, mentre il coprifuoco e i militari riescono solo ad arginare ma non a fermare la banale ma evidentemente intollerabile volontà di vivere dei poveri, la stampa cilena costruisce la solita immagine dello sciacallo, del criminale privo di scrupoli, disposto a far profitto sulla tragedia altrui.
Non potendo screditare e mistificare totalmente i saccheggi messi in atto da fasce vastissime di disperati, questi sciacalli dell’informazione si prodigano nella costruzione di un nuovo steccato morale, distinguendo tra “saccheggiatori buoni” (chi ruba il pane) e “saccheggiatori cattivi” (chi ruba la lavatrice o un plasma). Allo stesso modo, per giustificarne la repressione generalizzata creano il diabolico fantasma delle bande armate, che chiedono il pedaggio per attraversare alcune zone o rubano tra le macerie dei quartieri.
Nel descrivere quella che è senz’altro parte della realtà post-terremoto, ovvero la guerra tra poveri e il nascere di nuove forme di comunità mafiose, dimenticano di raccontare che gli abitanti dei quartieri aggrediti da queste bande si sono, anch’essi, (auto)organizzati (in alcuni casi armandosi) per difendersi da soli; dimenticano di scrivere che spesso il frutto dei saccheggi rifornisce i campi dove si sono rifugiati i terremotati e che questi “criminali” della refurtiva ne stanno facendo un uso comune.
Quello che emerge con evidenza è che alla solidarietà tra i gestori e i guardiani dell’esistente – padroni, Stato, giornalisti –, compatti nella difesa dell’ordine e della proprietà, corrisponde un’altrettanto forte solidarietà tra oppressi, tra poveri, tra diseredati.
Il passato recente ha messo in luce come ci si trovi sempre più spesso di fronte a emergenze sociali che diventano, di fatto, stati di emergenza permanenti: i contingenti militari, il monopolio delle organizzazioni umanitarie, le zone rosse – o i coprifuochi –, l’instaurazione di leggi marziali (3) o la sospensione di fatto del Diritto democratico (5), e il business della ricostruzione rappresentano il solo modo con cui l’emergenza viene gestita.
Dal futuro non possiamo che aspettarci una sempre crescente creazione di emergenze da gestire e, gli alpini nelle strade italiane sono lì per ricordarcelo, un sempre più confuso e labile confine tra stato d’emergenza (o di guerra) e “normalità”. Le dichiarazioni dei vertici militari occidentali non fanno che confermare tali aspettative (5).
Quello che insegnano i fatti cileni è che non vi sono teorie più o meno rivoluzionarie che possano essere indicate a chi si trova nel pieno della tempesta sociale; tanto più che la teoria spesse volte – quello cileno è solo l’ennesimo caso – è ampiamente superata dalle pratiche reali degli sfruttati.
Queste pratiche – l’autorganizzazione, l’espropriazione dei signori di questo mondo, l’azione diretta, l’autodifesa (lo ripetiamo: anche armata) di fronte ad un’occupazione militare e al risorgere di nuove forme di capitalismo primitivo (quello mafioso), la solidarietà concreta tra oppressi –, sono ciò che possiamo imparare e riconoscere come uniche vie di fuga possibili dalla catastrofe che è l’organizzazione sociale in cui viviamo, perché rappresentano la negazione di questo mondo, il suo rifiuto.

E’ di questo che parlano, coi fatti, tra le macerie, le strade cilene.

E’ questo che urlano, con determinazione e coraggio, gli uomini e le donne di Concepcion.

Il capitalismo è la catastrofe. Il capitalismo è la barbarie.

internazionalisti solidali

Note:
(1) Da "A convertir en ruinas y escombros la sociedad de clases", www.hommodolars.org. Trad. italiana su: http://liguria.indymedia.org/node/5153
(2) "Ho visto l’Aquila. Lettera a mia moglie", http://abruzzo.indymedia.org/article/6521
(3) A New Orlèans, in Cile, ad Haiti.
(4) A l’Aquila, ma anche nelle banlieues parigine durante le sommosse del 2005.
(5) Vedi il documento Nato “Urban Operations in the year 2020”, ma anche: “La guerra del futuro si giocherà nelle strade, nelle fogne, nei grattacieli, nelle zone abitate tentacolari ed anarchiche che costituiscono le città cadenti del pianeta. La nostra storia militare recente è costellata da nomi di città - Tuzla, Mogadiscio, Los Angeles, Beirut, Panama, Hué, Saigon, Santo Domingo — ma tutti questi combattimenti saranno stati solo un prologo: il vero dramma deve ancora arrivare.” (Maggiore Ralph Peters dell’Army War College, 1996).