"chi fa da sé fa per 3"

Questo blog è nato come un blog di controinformazione dopo il sisma del 6 aprile 2009. Ora che i riflettori su L'Aquila si sono spenti e l'unico terremoto che investe la città è quello della crisi generata da questo sistema capitalistico che deve essere rovesciato, esso rimane in vita per dare voce ai senza voce, a coloro che, pur vivendo e lottando in questa città, non trovano spazio nei media, anche se si definiscono "liberi e indipendenti"

giovedì 8 ottobre 2009

Relazione dell'inchiesta tra gli sfollati

Inchiesta per una rete di soccorso popolare tra i terremotati d’Abruzzo

I dati riflettono la situazione degli intervistati al mese di giugno e sono stati raccolti in massima parte tra gli sfollati dei campi.
L’indagine non ha valore statistico, e per l’entità ridotta del campione e per la sua eterogeneità, ma porta con sé la voce della denuncia e la necessità dell’autorganizzazione. Ma facciamo prima un breve resoconto dell’inchiesta, rimandando alle tabelle e ai grafici in allegato per un’analisi più dettagliata

Un primo bilancio
Quasi la metà degli uomini intervistati e oltre i 2/3 delle donne che hanno risposto al questionario, hanno dichiarato di essere occupati, anche con lavori precari o a nero, prima del sisma del 6 aprile.
In seguito al sisma, il numero totale degli occupati intervistati si è dimezzato, a scapito soprattutto delle donne. Circa i ¾ degli intervistati, che hanno perso il lavoro dopo il sisma sono donne.
L’88% degli intervistati ha perso l’agibilità della propria abitazione. L’83 % abitava in una casa di edilizia privata e il 17 % in una casa popolare. Il 67 % viveva in una casa di proprietà e il 24% stava ancora pagando il mutuo.
Diversi intervistati hanno perso i propri famigliari a causa del sisma, sia nelle case di edilizia privata che in quelle di edilizia pubblica.

Responsabilità
Il 26% egli intervistati, soprattutto donne, ha notato lesioni nei propri luoghi di abitazione e/o lavoro prima del sisma e le ha segnalate agli organi competenti e/o al datore di lavoro, chiedendo più sicurezza.
Nel 23% dei casi, l’abitazione era stata spacciata per antisismica e il 53% degli intervistati ha ammesso di essere stato rassicurato e convinto a rientrare in casa, nonostante l’elevata probabilità di un evento sismico grave.
Un’operaia che viveva nelle case popolari afferma: “si è sempre vissuto con paura a causa dell’evidente fragilità delle strutture” (e meno male che si trattava di edilizia pubblica residenziale!).
Circa l’80% degli intervistati ha individuato genericamente nelle istituzioni le responsabilità di questa tragedia annunciata, attribuendo responsabilità specifiche, in ordine decrescente, a: Stato/Governo, Regione, Comune, Protezione Civile, Provincia.

Il 28% degli intervistati ha poi indicato nei costruttori specifiche responsabilità.
Al di là dei dati freddi dell’inchiesta, vogliamo riportare alcuni commenti a caldo rilasciati dagli intervistati al quesito: “Chi ritenete responsabili di quanto accaduto?”
“Stato, perché ha cambiato le direttive sismiche”
“Regione, Stato, gruppi politici-economici-affaristici”
“Tutte le istituzioni, compresa la protezione civile, che ha rassicurato anziché fare le tendopoli già da una settimana prima”
E ancora: “Chi ha declassato L’Aquila da zona 1 a zona 2 e la protezione civile”, “Tutti”, “Assassini, si sparassero…”, “i politici”, “lo Stato e le ditte edilizie per la scarsa qualità delle abitazioni”, “il Comune, che ha rilasciato il piano regolatore”, “Lo Stato, perché ha cambiato le direttive sismiche per costruire” ecc.

Soccorsi
Il 69% degli intervistati ha denunciato soccorsi tardivi o insufficienti. Alla domanda: “Dalle h 3,32 del 6 aprile, dopo quanto tempo avete ricevuto i primi soccorsi dagli organismi preposti?
“dopo 3 giorni ho ricevuto i primi soccorsi, perché sono venuta io al campo”, dice una donna che in un solo giorno ha perso oltre alla casa anche il lavoro che aveva appena trovato; “dopo 7 giorni e li ho cercati io” dice un’altra. Nei casi più fortunati, se così si può dire, gli intervistati hanno ricevuto i primi soccorsi dopo circa 2 ore e quasi sempre si è trattato degli autobus che li hanno portati al mare, dove sono rimasti per diversi mesi.
Tra i maggiori disagi vissuti dentro e fuori le tendopoli, che gli sfollati hanno ritenuto segnalare, il primo posto spetta alla militarizzazione (76%), seguito, in ordine decrescente, da convivenza forzata, mancanza di reddito (65%), mancanza di climatizzazione adeguata, mancanza di informazione (57%), burocrazia, mancanza di autonomia, scarsi servizi igienici, inattività/noia, ostacoli alla mobilità, sovraffollamento, disagi per le donne (33%), cattiva alimentazione, assistenza sanitaria inadeguata, scarsa partecipazione, inefficienza.
Il 74 % degli intervistati si è espresso nel senso di un peggioramento di tali disagi in vista del G8, ma evidentemente non c’era, da parte dei comitati, la volontà di ascoltare e organizzare l’espressione di questi disagi e di questa rabbia, evidentemente troppo critica nei confronti delle istituzioni locali.

Partecipazione e disponibilità a mobilitarsi
Di fatto, a giugno inoltrato, dopo la manifestazione del 16, più del 30 % degli intervistati dichiarava di non essere a conoscenza della campagna 100%, promossa dai comitati cittadini. Non si è trattato solo di un problema di comunicazione e di informazione (la campagna 100% e i comitati avevano ormai acquistato grande visibilità, sia su “Il centro” che in città, con enormi manifesti di propaganda e a livello nazionale), ma anche di trasparenza e partecipazione. Trasparenza, perché la rete dei comitati cittadini si è ben guardata dallo stigmatizzare l’ambiguità delle istituzioni locali prima e dopo il terremoto. Partecipazione, perché questa è rimasta di fatto un enunciato al 3° punto della campagna 100% e i cittadini in carne e ossa non sono stati chiamati ad esprimersi sul contenuto della stessa, se non con una firma a piattaforma già decisa. Si è voluto, in ultima analisi, accordare ai cittadini un ruolo marginale, da utenti e non da protagonisti, anche nelle scelte che riguardavano la lotta e le iniziative di mobilitazione dei comitati. La stessa passività che un regime finto democratico richiede ai suoi elettori: un voto acritico.
Un dato importante da segnalare è infatti quello relativo all’area di compilazione dei questionari dell’inchiesta. Solo una minima parte di essi è stata compilata tra le soggettività che si potrebbero definire “più attive” nel movimento degli sfollati, ossia i comitati cittadini, presenti alle manifestazioni di maggio e giugno. La stessa inchiesta, che ho cercato di promuovere a partire dalla manifestazione del 30 maggio, è stata, per dirla in maniera morbida, ignorata dai comitati. Infatti in quella occasione mi è stato negato per la prima volta l’accesso al megafono da parte di alcuni rappresentanti dei comitati, per presentare l’inchiesta e lasciare il mio contatto.
Tra le masse invece, l’inchiesta è stata accolta con una certa curiosità e superata un’iniziale diffidenza, i cittadini hanno espresso senza bavagli le loro opinioni e i loro disagi. Da questi bisognava partire per costruire una rete orizzontale e partecipata di mobilitazione.
Per gran parte degli intervistati, la condizione maggiore di sofferenza non era la mancata “ricostruzione al 100%”, ma proveniva dall’aspetto invasivo e militare della cosiddetta macchina dei soccorsi, un aspetto destinato ad amplificarsi durante il G8, fino a stravolgere completamente il senso di quella presenza in funzione antidemocratica e oppressiva.
Questo la rete dei comitati ha voluto ignorare, difendendo le non scelte e le traballanti prese di posizione del sindaco e delle amministrazioni locali.
Gran parte degli intervistati, reclamava realmente trasparenza e partecipazione al 100%, non solo dalle istituzioni ma dagli stessi comitati cittadini, anche da quelli di una certa sinistra collusa col potere.
Anche questo la rete dei comitati ha voluto ignorare.
Questa inchiesta no. Nel suo piccolo era a questi cittadini inascoltati, lontani dai megafoni e dal palcoscenico che voleva dar voce e lo sta facendo.

Il 74% degli intervistati, molti dei quali nel campo di Piazza d’armi e fuori dalla rete dei comitati, temeva il G8 perché già pativa una forte militarizzazione del territorio e della propria vita e non si aspettava nulla di buono, né soldi, né lavoro da un evento come quello, al contrario di alcuni padroni, come Natalia Nunzia, che dopo aver alloggiato per mesi al grand hotel di Montesilvano e fatto soldi col G8 per un nuovo torrone, sfilava il 9 luglio con la rete dei comitati, esibendo il cartello delle last ladies e sorreggendo lo striscione yes we camp!!!

Per finire con l’inchiesta, l’81 % degli intervistati ha comunque dato la propria disponibilità a mobilitarsi in iniziative realmente partecipative.
Se questa disponibilità è venuta a mancare bisognerà pur chiedersi il perché e questo non tanto per polemizzare quanto per non ripetere gli errori.
Alla domanda finale dell’inchiesta (Sareste disponibili a riprendere la vostra attività e/o a partecipare attivamente ad iniziative sulle vostre condizioni di vita, lavoro, abitazione, proponendo piattaforme, punti di rivendicazione, organizzazione ecc? ) è stato lasciato uno spazio libero per gli intervistati. Riportiamo di seguito le espressioni più significative:
“dipende con chi, non con quei ricconi del mio paese, che sono dei privilegiati, ammanicati col sindaco e non hanno avuto danni…”
“ridateci le case con la struttura antisismica!!!”
“basta che se ne vanno e ci lasciano in pace nella ricostruzione della nostra città!”
“ridateci le case come erano prima e dateci i soldi per ristrutturarle”
“Punti di organizzazione, Informazione, abbattimento delle tendopoli, liberazione dal terrore”
“sì, c’è poca iniziativa da parte degli organi di stampa locale e di informazione in generale”

Ma quella più gettonata era la richiesta di lavoro:
“sono disponibile a lavorare, se no ce moremo de fame tutti quanti!”

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